Lunedì, 25 Novembre 2024

Crisi economica: in Italia 530mila occupati in meno nel biennio 2009-2010


L'Istat ha presentato oggi a Montecitorio il rapporto annuale relativo alla situazione del paese. Pre


Crisi economica: in Italia 530mila occupati in meno nel biennio 2009-2010

Un impatto "pesante" che, nel biennio 2009-2010, ha visto l'occupazione scendere di 532mila unità - la metà delle quali al Sud - e che si è ripercosso, in particolar modo, sulla popolazione giovanile con un incremento significativo dei contratti 'flessibili'. E' un ritratto a tinte fosche quello relativo al lavoro presentato oggi dall'Istat nel rapporto annuale "La situazione del paese nel 2010", secondo il quale un quarto degli italiani (il 24,7% della popolazione, più o meno 15 milioni) "sperimenta il rischio di povertà o di esclusione sociale". Si tratta di un valore superiore alla media Ue, che è del 23,1%.

Crescita del Pil: siamo fanalino di coda. "Nel decennio 2001-2010 l'Italia ha realizzato la performance di crescita peggiore tra tutti i paesi dell'Unione europea", si legge nello studio. Il nostro paese è "fanalino di coda nell'Ue". Si tratta del livello di espansione più lento nell'intero decennio, con un tasso medio annuo pari allo 0,2%, contro l'1,1% dell'Uem. Nella media dello scorso anno l'economia italiana, ricorda l'Istat, è cresciuta dell'1,3%, contro l'1,8% dell'Uem. Nel primo trimestre del 2011, l'incremento è stato dello 0,1% su base congiunturale (come già nell'ultimo trimestre del 2010) e dell1% in termini tendenziali, mentre nell'Uem è stato dello 0,8% su base trimestrale (dallo 0,3 di fine 2010), e del 2,5% rispetto ai primi tre mesi del 2010.

L'allarme di Giovannini. "Il tasso di crescita dell'economia italiana è del tutto insoddisfacente", ha rilevato il presidente dell'Istat, Enrico Giovannini, illustrando il rapporto a Montecitorio, alla presenza del presidente della Camera, Gianfranco Fini, "e anche i segnali di recupero congiunturale dei livelli di attività e della domanda di lavoro non sembrano sufficientemente forti e diffusi per riassorbire la disoccupazione e l'inattività, rilanciando redditi e consumi". Di conseguenza, valuta Giovannini, "l'occupazione sta ora crescendo prevalentemente nei servizi a più basso contenuto professionale, a fronte della riduzione del numero delle posizioni più qualificate. Ciò implica, a parità di altre condizioni, un sottoutilizzo del capitale umano, guadagni più bassi, minori prospettive di sviluppo".

Mezzo milione di occupati in meno. La metà dei 532mila posti di lavoro in meno ha riguardato il Mezzogiorno, ma 228mila unità hanno interessato il Nord (-1,9%), a fronte di una sostanziale stabilità nelle regioni centrali. Il calo si è concentrato nell'occupazione permanente a tempo pieno (-1,7%, pari a -297mila unità) e ha colpito tutte le classi di età (-9,8% i giovani di 15-29 anni, -2,2% gli individui tra 30 e 49 anni), tranne gli ultracinquantenni. L'Istat spiega, inoltre, che "circa i tre quarti della caduta dell'occupazione del biennio hanno riguardato l'industria in senso stretto" (-404mila unità nel 2009-2010), nonostante l'ampio utilizzo della Cig (ordinaria, straordinaria, in deroga). Nel Mezzogiorno la discesa della manodopera industriale è doppia in confronto al Centro-Nord (rispettivamente, 13,8 e 6,9%), contribuendo a ridurre ancora di più il tasso di industrializzazione di questa area geografica.

Cig "critica" nel Mezzogiorno. Rispetto al dato della cassa integrazione, l'Istat spiega che circa un quarto di quanti erano in Cig nel 2009 lo sono anche un anno dopo; uno su due ritorna al lavoro e uno su cinque non è più occupato. La situazione, si legge nel documento, "è particolarmente critica nel Mezzogiorno, dove si registra il maggior numero di persone in Cig a distanza di un anno e il minor numero di rientri sul posto di lavoro (33,6% a fronte del 64,2 nel Nord), con un flusso più ampio di uscite verso la disoccupazione (7,9%) e, soprattutto, verso l'inattività (24%)".

Giovani e donne i più colpiti dalla crisi. A pagare maggiormente la crisi sono stati i giovani e le donne. Secondo Giovannini, per queste fasce di lavoratori, si avrebbero "prospettive sempre più incerte di rientro sul mercato che ampliano ulteriormente il divario tra le loro aspirazioni, testimoniate da un più alto livello di istruzione, e le opportunità". Sfogliando i dati di sintesi si legge che i 18-29enni sono stati particolarmente colpiti dalla recessione, con una perdita di 482mila unità nel biennio 2009-2010. Il tasso di occupazione specifico è diminuito negli ultimi due anni di circa 6 punti percentuali. Nel 2010 era occupato circa un giovane su due nel Nord e meno di tre su dieci nel Mezzogiorno.

Sempre più Neet. Sempre lo scorso anno sono poco oltre 2,1 milioni, 134mila in più rispetto a un anno prima, i giovani fra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione (i cosiddetti Neet, Not in education, employment or training). Essi rappresentano il 22,1% della popolazione nella stessa fascia di età (20,5 nel 2009), una quota nettamente superiore a quella tipica degli altri paesi europei. L'incremento dei Neet ha riguardato soprattutto i giovani del Nord-est, gli uomini e i diplomati, ma anche gli stranieri.

Peggiora la qualità del lavoro 'in rosa'. L'occupazione femminile rimane stabile nel 2010, ma peggiora la qualità del lavoro e rimane la disparità salariale rispetto ai colleghi uomini (-20%). Cresce inoltre i part time involontario e aumentano le donne sovra-istruite. L'occupazione qualificata, tecnica e operaia, secondo quanto si legge è scesa di 170mila unità, mentre è aumentata soprattutto quella non qualificata (+108mila unità). Si tratta soprattutto di "italiane impiegate nei servizi di pulizia a imprese ed enti e di collaboratrici domestiche e assistenti familiari straniere". Un secondo fattore di peggioramento è dato dalla crescita del part time (+104mila unità rispetto a un anno prima), "quasi interamente involontaria e concentrata nei comparti di attività tradizionali" (commercio, ristorazione, servizi alle famiglie e alla persona) che presentano orari di lavoro poco adatti alla conciliazione con i tempi di vita. Permane inoltre tra le donne una maggiore diffusione del lavoro temporaneo: 14,3% contro il 9,3% degli uomini.

A rischio povertà 7,5 milioni di persone. Il rischio povertà riguarda circa 7,5 milioni di individui (12,5% della popolazione). Mentre 1,7 milione di persone (2,9%) si trova in condizione di grave deprivazione si trova 1,7 milione (2,9%) e 1,8 milione (3%) in un'intensità lavorativa molto bassa. Si trovano in quest'ultima condizione l'8,8% delle persone con meno di 60 anni (6,6% contro il valore medio del 9%). Solo l'1% della popolazione (circa 611 mila individui) vive in una famiglia contemporaneamente a rischio di povertà, deprivata e a intensità di lavoro molto bassa. Nelle regioni meridionali, dove risiede circa un terzo degli italiani, vive il 57% delle persone a rischio povertà (8,5 milioni) e il 77% di quelle che convivono sia col rischio, sia con la deprivazione sia con intensità di lavoro molto bassa (469 mila).

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