Diritto all’oblio e Google, un connubio a dir poco esplosivo. Soprattutto in un periodo in cui l’evoluzione digitale domina tutti i campi e la notizia (di qualsiasi tipo essa sia) è sempre più a portata di click. E di social. C’è quindi chi chiede di essere cancellato dai motori di ricerca on line per motivi di privacy, per precedenti condanne penali o per altro ancora. In una parola, per le più svariate motivazioni.
Ma in concreto, cos’è questo ‘diritto all’oblio’? In campo giurisprudenziale rappresenta una sorta di garanzia che prevede la non diffondibilità, senza particolari motivi, di precedenti che pregiudicano l'onore di una persona. E’ insomma il diritto di un individuo a essere dimenticato, o meglio, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca.
Secondo un recente articolo pubblicato su lastampa.it, da alcuni dati statistici emerge che tra i grandi paesi dell’Unione Europea gli italiani sono quelli che meno sollecitano Google a rimuovere link a pagine internet per un numero indicativo di circa 11.512 richieste, contro le 13.478 domandate dalla Spagna, 18.597 dalla Gran Bretagna, 25.272 dalla Germania e, prima assoluta, la Francia con i suoi 29.250 casi. Anche se non tutte le domande ottengono una risposta dal colosso di Mountain View.
In sostanza, un individuo - che abbia commesso un reato in passato - ha il pieno diritto di richiedere che quel reato non venga più divulgato dalla stampa e dagli altri canali di informazione. La conferma arriva dalla sentenza dello scorso 13 maggio della Corte di Giustizia Ue, la quale ha riconosciuto il diritto ad essere «de-indicizzati» dal motore di ricerca e ha imposto a Google di provvedere alle richieste degli utenti. E le Autorità Ue Garanti della Privacy hanno deciso di elaborare criteri comuni, per gestire i ricorsi e i reclami presentati da utenti che si sono visti opporre un rifiuto da Google.
A Bruxelles le Autorità hanno inoltre ribadito che tutti i motori di ricerca devono adempiere agli obblighi derivanti dalla sentenza della Corte Europea e hanno sottolineato di aver ricevuto negli ultimi mesi un buon numero di ricorsi a seguito del diniego opposto da Google. Segno questo che la questione dell' ''oblio'' e dei meccanismi per garantirlo è un'esigenza largamente sentita e condivisa da parte dei cittadini europei.
Questa la tesi sostenuta dalla Corte: ‘la pubblicazione di dati personali in una notizia è giustificata dal diritto di cronaca, quindi dall'interesse pubblico della notizia. Se l'interesse pubblico viene meno col tempo, la pubblicazione non è più giustificata, e quindi è possibile chiedere la rimozione dei dati personali (diritto all'oblio)’. E proprio partendo da questa affermazione, chiediamo a due esperti del settore di fornirci ulteriori informazioni sul diritto all’oblio: l’Avvocato Carlo Melzi d’Eril e l’Avvocato Stefano Rossetti, esperti in diritto dell’informazione e diritto penale.
DALLA PARTE DEL GIURISTA
DALLA PARTE DEL GIURISTA
1. Nel lavoro del giornalista devono essere bilanciati diversi interessi: l’esercizio del diritto di cronaca e di critica e altri interessi della persona. In particolare il diritto all’oblio. Quale ne è la definizione?
Il giornalismo fornisce informazioni all’opinione pubblica. Una società democratica deve essere informata e questo può implicare dei “rischi”. L’informazione può infatti comportare la lesione di vari beni giuridici, tutti meritevoli di protezione costituzionale. Un giornalista può pubblicare atti coperti da segreto di stato o istruttorio, descrivere fatti o esprimere critiche in grado di ledere la reputazione di un individuo. L’informazione, ancora, per sua natura determina la diffusione di dati personali, magari non offensivi, e ciononostante idonei a ledere la riservatezza del soggetto.
Da un punto di vista generale, in tema di riservatezza, la legge impone che, se a trattare i dati è un privato, ciò non possa accadere senza il consenso dell’interessato. Vi sono alcune eccezioni, tra cui può essere inclusa la pubblicazione dei dati nell’ambito della professione giornalistica. Il giornalista, infatti, non ha l’obbligo di chiedere il consenso per il trattamento dei dati, a patto che rispetti alcune condizioni.
La disciplina rilevante è contenuta negli articoli 136 – 139 del Codice Privacy. L’articolo 137, in particolare, dopo avere escluso la necessità del consenso, prevede che «restano fermi i limiti del diritto di cronaca `...` e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico». In altri termini, il dato potrà essere raccolto e pubblicato senza il consenso dell’interessato purché sia corretto ed essenziale per comprendere una notizia di interesse pubblico. I dati personali raccolti dovranno essere essenziali, cioè a dire non sovrabbondanti; solo a queste condizioni, lo si ripete, si potrà pubblicare senza il consenso dell’interessato.
È su questi aspetti che occorre concentrarsi per individuare il contenuto, ma prima ancora la ragione di esistenza del diritto all’oblio. Il passare del tempo, l’evolversi dei fatti, può infatti modificare la sussistenza dei predetti requisiti; un certo dato può, a distanza di anni, non essere più di interesse pubblico, oppure non essere più corretto.
La realtà, dunque, più precisamente, può far venire meno uno dei requisiti che avevano autorizzato il giornalista a “violare” l’altrui riservatezza, con la conseguenza che, proprio la riservatezza si “riespande”, reclamando la propria supremazia.
Il diritto all’oblio, in fondo, è proprio questo: il diritto di un soggetto, i cui dati personali erano stati diffusi in passato, a che gli stessi non lo siano più qualora non siano più corretti o di interesse pubblico.
Da un punto di vista generale, in tema di riservatezza, la legge impone che, se a trattare i dati è un privato, ciò non possa accadere senza il consenso dell’interessato. Vi sono alcune eccezioni, tra cui può essere inclusa la pubblicazione dei dati nell’ambito della professione giornalistica. Il giornalista, infatti, non ha l’obbligo di chiedere il consenso per il trattamento dei dati, a patto che rispetti alcune condizioni.
La disciplina rilevante è contenuta negli articoli 136 – 139 del Codice Privacy. L’articolo 137, in particolare, dopo avere escluso la necessità del consenso, prevede che «restano fermi i limiti del diritto di cronaca `...` e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico». In altri termini, il dato potrà essere raccolto e pubblicato senza il consenso dell’interessato purché sia corretto ed essenziale per comprendere una notizia di interesse pubblico. I dati personali raccolti dovranno essere essenziali, cioè a dire non sovrabbondanti; solo a queste condizioni, lo si ripete, si potrà pubblicare senza il consenso dell’interessato.
È su questi aspetti che occorre concentrarsi per individuare il contenuto, ma prima ancora la ragione di esistenza del diritto all’oblio. Il passare del tempo, l’evolversi dei fatti, può infatti modificare la sussistenza dei predetti requisiti; un certo dato può, a distanza di anni, non essere più di interesse pubblico, oppure non essere più corretto.
La realtà, dunque, più precisamente, può far venire meno uno dei requisiti che avevano autorizzato il giornalista a “violare” l’altrui riservatezza, con la conseguenza che, proprio la riservatezza si “riespande”, reclamando la propria supremazia.
Il diritto all’oblio, in fondo, è proprio questo: il diritto di un soggetto, i cui dati personali erano stati diffusi in passato, a che gli stessi non lo siano più qualora non siano più corretti o di interesse pubblico.
Sul punto val forse la pena riportare le parole di Stefano Rodotà che riferisce un bell’esempio: «Ero un ragazzino. Torno un momento a quei giorni. È il ’53 o il ’54, sono iscritto all’università. Una bella mattina arriva la polizia a casa, all’alba, e mi porta in Questura a Roma, dove mi contestano di aver distribuito volantini non autorizzati `...` si scopre un classico errore di persona: i volantini li aveva distribuiti Carmelo Samonà, che poi diventerà uno scrittore e uno studioso di lingua spagnola, non Rodotà. Vengo rimandato a casa con tante scuse». Continua Rodotà: «Quella vicenda è lontana, è assolutamente ininfluente nella mia vita di oggi. Ora, se quella informazione è ancora conservata da qualche parte, la legge sulla privacy mi offre due possibilità. Posso chiedere e ottenere che sia cancellata, perché ognuno di noi ha un diritto all’oblio, a non essere implacabilmente seguito da qualsiasi fatto che lo riguardi. O, se viene ancora adoperata, ho il diritto che lo sia in modo completo. Non si può soltanto ricordare che una mattina di cinquant’anni fa sono stato portato in Questura. Si deve necessariamente aggiungere che si trattava di un errore. Solo così viene data l’informazione vera. La privacy è anche questo: solo le informazioni essenziali, e sempre complete, per non travisare l’identità delle persone».
Come si vede, il tempo può dimostrare come un fatto, pur avvenuto, può non essere corretto alla luce di quanto accaduto dopo, o perdere di interesse per la collettività, o dimostrarsi non essenziale; in questi casi “riemerge” il diritto al controllo sui propri dati.
Come si vede, il tempo può dimostrare come un fatto, pur avvenuto, può non essere corretto alla luce di quanto accaduto dopo, o perdere di interesse per la collettività, o dimostrarsi non essenziale; in questi casi “riemerge” il diritto al controllo sui propri dati.
2. Web reputation e diritto all’oblio. Come si coniugano questi due aspetti?
Il caso emblematico raccontato dal professor Rodotà ben si presta ad un piccolo ma significativo approfondimento. Cosa accade se la notizia contenente i dati personali viene diffusa online? La questione non è di poco conto perché, a differenza di quanto accade con la carta stampata o con altri media, l’informazione online ha caratteristiche peculiari. Una stessa notizia può essere facilmente ripresa da più siti internet ed esser consultata in qualsiasi momento da migliaia di persone, ma soprattutto la stessa diffusione consiste non in una puntuale pubblicazione, ma in una continua messa a disposizione della notizia e quindi dei dati ivi contenuti. Il rischio di perdere il controllo dei propri dati è quindi maggiore, ragion per la quale il problema, o meglio, l’importanza del diritto all’oblio, assume caratteri più spiccati.
Ciò detto, occorre precisare che se cambia il contesto, non cambia la regola: se un’informazione non è corretta, o non è essenziale, o si perde l’interesse pubblico alla sua conoscenza l’interessato può chiederne l’aggiornamento o la cancellazione.
Il cittadino intenzionato a porre in essere questo proposito, può agire su più livelli.
Un primo riguarda i distributori di contenuti informativi; gli editori, gli archivi digitali dei giornali cartacei, i blog, i siti internet in genere, qualsiasi archivio informatico in cui sia contenuta la notizia.
Rispetto a queste informazioni, i gestori degli archivi saranno obbligati ad aggiornare la notizia, o addirittura a rimuoverla, nel caso in cui i dati personali non siano più corretti ovvero non vi sia più alcun interesse alla conoscenza di quel dato.
A questo punto, però, ci si “scontra” con la realtà: il soggetto interessato, infatti, può anche richiedere e ottenere la cancellazione dei propri dati da un sito, ma se poi gli stessi dati sono contenuti su altri siti internet, e queste informazioni sono facilmente raggiungibili attraverso un “semplice” motore di ricerca, allora, di fatto, non si sarà raggiunto alcun apprezzabile risultato.
Ci si deve dunque spostare al secondo livello: le regole applicabili ai motori di ricerca.
La questione è stata affrontata dalla giurisprudenza europea. In particolare, la recente sentenza della Corte di Giustizia Europea, la numero C-131/12 del 13 maggio 2014 (il cosiddetto caso “Google – Spain”), che ha ritenuto applicabili, anche al gestore del motore di ricerca, regole simili a quelle finora analizzate. Anche in questo caso, pertanto, ove i dati non siano più corretti o di interesse pubblico, il motore di ricerca è tenuto alla deindicizzazione dell’informazione. Google ha attivato a questo proposito un procedura che prevede una richiesta da parte del soggetto interessato direttamente al motore di ricerca, che deve procedere all’esame della questione. In caso di rifiuto del gestore, l’interessato potrà rivolgersi alle autorità amministrative o giudiziarie.
Ciò detto, occorre precisare che se cambia il contesto, non cambia la regola: se un’informazione non è corretta, o non è essenziale, o si perde l’interesse pubblico alla sua conoscenza l’interessato può chiederne l’aggiornamento o la cancellazione.
Il cittadino intenzionato a porre in essere questo proposito, può agire su più livelli.
Un primo riguarda i distributori di contenuti informativi; gli editori, gli archivi digitali dei giornali cartacei, i blog, i siti internet in genere, qualsiasi archivio informatico in cui sia contenuta la notizia.
Rispetto a queste informazioni, i gestori degli archivi saranno obbligati ad aggiornare la notizia, o addirittura a rimuoverla, nel caso in cui i dati personali non siano più corretti ovvero non vi sia più alcun interesse alla conoscenza di quel dato.
A questo punto, però, ci si “scontra” con la realtà: il soggetto interessato, infatti, può anche richiedere e ottenere la cancellazione dei propri dati da un sito, ma se poi gli stessi dati sono contenuti su altri siti internet, e queste informazioni sono facilmente raggiungibili attraverso un “semplice” motore di ricerca, allora, di fatto, non si sarà raggiunto alcun apprezzabile risultato.
Ci si deve dunque spostare al secondo livello: le regole applicabili ai motori di ricerca.
La questione è stata affrontata dalla giurisprudenza europea. In particolare, la recente sentenza della Corte di Giustizia Europea, la numero C-131/12 del 13 maggio 2014 (il cosiddetto caso “Google – Spain”), che ha ritenuto applicabili, anche al gestore del motore di ricerca, regole simili a quelle finora analizzate. Anche in questo caso, pertanto, ove i dati non siano più corretti o di interesse pubblico, il motore di ricerca è tenuto alla deindicizzazione dell’informazione. Google ha attivato a questo proposito un procedura che prevede una richiesta da parte del soggetto interessato direttamente al motore di ricerca, che deve procedere all’esame della questione. In caso di rifiuto del gestore, l’interessato potrà rivolgersi alle autorità amministrative o giudiziarie.
3. Notizie che riguardano un’indagine penale conclusa con l’assoluzione dell’imputato. Come si deve procedere?
Il caso in questione può dirsi emblematico; ipotizziamo che un cittadino venga sottoposto a misura cautelare personale nel corso delle indagini preliminari. I giornalisti vengono a conoscenza dell’ordinanza e pubblicano l’informazione, senonché il procedimento si conclude con l’assoluzione dell’imputato.
L’articolo che riproduce fedelmente la situazione giudiziaria dell’interessato al momento della pubblicazione è sempre legittimo. Sicché i “pezzi” pubblicati il giorno dopo l’applicazione dell’ordinanza di custodia cautelare erano leciti, se riproducevano correttamente il contenuto dell’ordinanza.
Tuttavia, la realtà è cambiata, c’è stato un proscioglimento di cui non s’è dato conto. Quindi se tali articoli sono ancora a disposizione dei lettori, ad esempio sul sito web della testata, c’è il rischio che i dati della persona interessata siano non più corretti, anche se ancora a disposizione del pubblico, senza alcuna limitazione né contestualizzazione.
In questi casi viene riconosciuto all’interessato il diritto all’integrazione e/o aggiornamento dell’informazione al fine di «rispristinare l’ordine del sistema alterato dalla notizia (storicamente o altrimenti) parziale. L’aggiornamento ha in particolare riguardo all’inserimento di notizie successive o nuove rispetto a quelle esistenti al momento iniziale del trattamento, ed è volto a rispristinare la completezza e pertanto la verità della notizia, non più tale in ragione dell’evoluzione nel tempo della vicenda» (Cass. civ., Sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525).
In altri termini, nel caso di notizie contenute nell'archivio storico di un quotidiano consultabile in internet, deve riconoscersi al soggetto cui le informazioni d'archivio si riferiscono il diritto all'oblio che, anche quando trattasi di notizia vera, può tradursi nella pretesa alla contestualizzazione ed all'aggiornamento della stessa, mediante il collegamento ad altre informazioni successivamente pubblicate, e se del caso nella richiesta di cancellazione delle informazioni personali. (Fonte: Ordine dei Giornalisti)
L’articolo che riproduce fedelmente la situazione giudiziaria dell’interessato al momento della pubblicazione è sempre legittimo. Sicché i “pezzi” pubblicati il giorno dopo l’applicazione dell’ordinanza di custodia cautelare erano leciti, se riproducevano correttamente il contenuto dell’ordinanza.
Tuttavia, la realtà è cambiata, c’è stato un proscioglimento di cui non s’è dato conto. Quindi se tali articoli sono ancora a disposizione dei lettori, ad esempio sul sito web della testata, c’è il rischio che i dati della persona interessata siano non più corretti, anche se ancora a disposizione del pubblico, senza alcuna limitazione né contestualizzazione.
In questi casi viene riconosciuto all’interessato il diritto all’integrazione e/o aggiornamento dell’informazione al fine di «rispristinare l’ordine del sistema alterato dalla notizia (storicamente o altrimenti) parziale. L’aggiornamento ha in particolare riguardo all’inserimento di notizie successive o nuove rispetto a quelle esistenti al momento iniziale del trattamento, ed è volto a rispristinare la completezza e pertanto la verità della notizia, non più tale in ragione dell’evoluzione nel tempo della vicenda» (Cass. civ., Sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525).
In altri termini, nel caso di notizie contenute nell'archivio storico di un quotidiano consultabile in internet, deve riconoscersi al soggetto cui le informazioni d'archivio si riferiscono il diritto all'oblio che, anche quando trattasi di notizia vera, può tradursi nella pretesa alla contestualizzazione ed all'aggiornamento della stessa, mediante il collegamento ad altre informazioni successivamente pubblicate, e se del caso nella richiesta di cancellazione delle informazioni personali. (Fonte: Ordine dei Giornalisti)