(Sa.Sa.) - Il datore di lavoro, in caso di licenziamento di dipendenti a tempo indeterminato, a partire dal 1° gennaio 2013, è tenuto al pagamento del contributo di licenziamento pari al 41% del massimale mensile Aspi per ogni 12 mesi di mensilità aziendale negli ultimi 3 anni.
Tale contributo era già previsto dalla riforma del lavoro nella misura del 50% del trattamento Aspi, ed è stato poi ridotto dalla cosiddetta Legge di stabilità che ha così modificato il comma 31 dell’art. 2 della L. 92/2012.
La somma limite indicata dalla norma è di € 1.180, annualmente rivalutata sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente,perciò la contribuzione di licenziamento sarà di € 483,80 da moltiplicarsi con il numero di anni di anzianità aziendale (483,80 x 3 = 1.451 €).
Come evidenziato dalla Circolare INPS n. 44 del 22 marzo 2013, sussiste una correlazione intrinseca tra il riconoscimento dell’indennità Aspi e il contributo di licenziamento.
Perciò il datore di lavoro sarà comunque tenuto al pagamento del contributo, a prescindere dall’effettiva percezione dell’indennità.
Il contributo non è dovuto nei casi di dimissioni, risoluzioni consensuali - ad eccezione di quelle conseguenti da procedure di conciliazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro - nonché da trasferimento del dipendente ad altra sede aziendale oltre 50 km dalla residenza del lavoratore e/o raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici.
Si ricorda che il contributo è dovuto indipendentemente dalla tipologia del rapporto di lavoro cessato, full time o part time, e trova applicazione anche per le interruzioni intervenute nei rapporti di apprendistato, tranne in caso di dimissioni o recesso del lavoratore, compreso il recesso al termine del periodo di formazione.
Il contributo non è dovuto nell’ambito dei rapporti di lavoro domestico, così come chiarito dalla Circolare Inps n. 25 dell’8 febbraio 2013, in quanto è un obbligo delle imprese e non delle famiglie. La motivazione di tale esonero si fonda sulla peculiarità del rapporto di lavoro domestico che ha una diversa gestione della contribuzione previdenziale.