(Francesca Maggiulli) E’ una storia che si ripete. Entra in casa, ti violenta e va via. Ma in questa storia lo stupratore non è una persona, è un’entità, tanto grande che l’occhio, la mente e lo stomaco non hanno ancora ben compreso.
Solo tu sai che non conta se ti ha lasciato il segno, soprattutto perché, se questo c’è, è d’altro canto motivo di derisione da parte di chi non l’ha subito. L’acqua ti allaga. Sono cose che non dovrebbero accadere, sei in un centro abitato. Eppure avviene. Sai che lo scorso anno il Comune ha realizzato il piano d’emergenza, pur essendo introvabile nel web, eppure l’acqua è tornata a casa tua dalla via urbana, allagata per l’acqua che giunge da un intero rione abusivo condonato quarant’anni fa. Sei un essere umano più piccolo dell’evento naturale reiterato negli anni che ti porta ogni volta l’acqua in casa. Sei un essere umano più piccolo di un’amministrazione comunale che non fa proprio il tuo problema. Sei un essere umano che può solo sperare di subire e stare zitto per continuare a godere del rispetto dei compaesani. Perché altrimenti tu sei il malcapitato, la cui sfortunata sorte ti pone là dove gli altri non sono. Il silenzio, poi, quando provi a infrangerlo, i racconti degli abusivismi suonano come un’impietosa maledizione. Un tizio dopo l’alluvione del 2010 per solidarietà si è sentito dire da due autorità pubbliche locali “vendi tutto e vattene”. Anche la sua era una violenza subita che non trovava la partecipazione del comune, così come la strada urbana centrale dove arriva la condotta con l’acqua del rione abusivo condonato creando quell’invaso nel centro del paese che fa ridere il fortunato e l’intelligente che abitano altrove. Ma la violenza dell’abuso ti lascia dentro quell’insicurezza, non per quello che farai per proteggere la tua casa, ma per l’impunità di chi ti è entrato in casa, dalla via centrale del paese, di chi ti è entrato dentro, di chi, dunque, ti può entrare dovunque tu sarai, con chiunque tu sarai, senza che nulla potrà starti vicino.