Se il linguaggio orale è fatto di suoni, è il luogo di convergenza di tante cose, fattori circostanziali, ambiente percettivo relazionale, il linguaggio scritto ha diversi livelli di comprensione ed a dimostrazione viene distribuito ai partecipanti al convegno un articolo tecnico, il cui significato non è affatto immediato. Sembra piuttosto essere di immediata comprensione per chi ‘deve’ sapere. Viene richiesto di scrivere sul retro del foglio rilasciato quattro domande a cui rispondere velocemente per un autoesame delle capacità di interpretazione e per una valutazione del livello di difficoltà di leggibilità del testo. Si dà poi luogo alla lettura di alcune risposte per convenire che, al di là dell’esattezza di quanto indicato dal pubblico in aula, rappresentativo di una fascia della popolazione colta, il testo è volutamente scritto in un linguaggio pesante e di difficile accessibilità.
Nei temi della comprensione occorre partire dalla consapevolezza che, come la grammatica è fatta di regole ed eccezioni, il sistema si satura non da un punto di vista quantitativo, ma oppositivo. Lo studioso americano Rudolph Flesch ha elaborato una formula per calcolare il coefficiente di leggibilità (CL) di un qualsiasi testo scritto. La formula si basa sul presupposto che la comprensione di ogni testo sia inverso alla lunghezza dei periodi e delle parole di cui è composto e gli assegna un coefficiente numerico. L’indice di leggibilità di Flesch considera una scala di valori che oscillano tra “0” e “100”. Questo indice, valido per la lingua inglese, nel 1972 è stato diffuso da Roberto Vacca nel nostro Paese adeguandolo alla struttura morfologica e sillabica della lingua italiana. L’indice Gulpease è una delle cinque formule realizzate dal Gruppo Universitario Linguistico Pedagogico (Gulp) nell’ambito delle ricerche dell’Università di Roma “La Sapienza”, supervisionate da Tullio De Mauro e Maria Corda Costa grazie alla collaborazione con IBM Italia. L’indice Gulpease è il primo indice di leggibilità tarato sulla lingua italiana ed ha la convenienza di calcolare la lunghezza delle lettere che costituiscono le parole e non delle sillabe. E’, insomma, un indice di leggibilità di un testo che considera la lunghezza della parola (numero di sillabe) e la lunghezza media della frase (numero delle sue sillabe diviso il numero delle parole) rispetto al numero delle lettere, in base al quale è calcolato il livello di difficoltà di leggibilità. Per cui quando il valore è inferiore a 80 si ha un livello elementare, a 60 un livello medio e a 40 un livello superiore. Per fare un esempio se il valore dell’indice è da 45 a 80 il testo diventa ben leggibile, anche se bisogna fare attenzione, perché questo può andare bene per un testo burocratico, può essere indice di pensiero elementare, nell’accezione negativa del termine, nel caso di uno scritto personale. Spostandoci ora nel campo della ricerca, vediamo che il Centro del San Raffaele svolge studi per la comprensione dei meccanismi molecolari che regolano la comunicazione tra le cellule del cervello. E’ sotto osservazione il meccanismo di apprendimento e di memoria, formazione di abitudini comprese, come anche il collegamento tra apprendimento e segnalazione intracellulare nelle malattie neurodegenerative quali il morbo di Parkinson e nella dipendenza da sostanze d’abuso. Uno studio ha dimostrato che le condizioni di vita possono ritardare e attenuare malattie come l’Alzheimer creando nuove sinapsi, ovvero i punti di contatto utilizzati dai neuroni, le cellule del sistema nervoso centrale per comunicare fra loro. Per tornare a noi una cosa è la leggibilità, una cosa è la comprensione del testo. Con l’elaborazione della teoria dei giochi linguistici Ludwig Wittgeinstein evidenzia il carattere artificiale della linguistica e la pluralità delle sue possibili funzioni. La comunicazione è impegno di interazioni e chi scrive ‘bene’ si deve innanzitutto porre il problema di chi sia il lettore a cui si rivolge. Dell’inequivocabilità del significato della comprensione d’altro canto si è preoccupata la Direttiva 8 maggio 2002 sulla Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 141 del 18 giugno 2002. La procedura ‘cloze’, introdotta in psicolinguistica dal giornalista Wilson Taylor, che mira a far riprodurre una parte cancellata da un messaggio valutando il contesto in cui deve essere inserito (il termine rimanda alla capacità di chiudere il testo ricomponendone la sua interezza), dimostra che maggiore è la capacità di ricostruzione del testo, maggiore è il tasso di leggibilità del testo. Occorre anche tenere conto che ci sono diversi livelli di comunicazione e che ognuno di noi, da quando si alza la mattina fino a quando si va a coricare, è una sorta di camaleonte linguista: quanto più non si è individui di nicchia, ovvero quando non si vive in un solo ambiente, tanto più si cambiano i registri linguistici. La sociolinguistica è la scienza che ha lavorato molto sul ‘camaleontismo linguistico’. Avere buone capacità comunicative significa saper comprendere e saper farsi comprendere. La diamesia è la variabile sociolinguistica individuata da Alberto Mioni relativa al medium orale e scritto che si usa nella comunicazione. Occorre tenere presente la natura ibrida della varietà diamesica, nel senso che, come la lingua orale viene riprodotta e registrata da mezzi diversi, o viene addirittura talvolta trascritta perdendo così parte della propria peculiarità, così lo scritto può servirsi di diversi supporti. Si usano fare distinzioni quali parlato-scritto e parlato-parlato (tipo di produzione linguistica orale intrascrivibile) e scritto-scritto (che non si parla mai). E’ raro trovare persone capaci di scrivere così come parlano, nella stessa maniera ordinata. Un esempio di scritto-parlato è stato il corrispondente italiano in America Ruggero Orlando. Gli altri elementi che stabiliscono la variazione linguistica sono la diacronia (in relazione al tempo), la diatopia (in relazione allo spazio), la diastratia (in rapporto alla condizione sociale dei parlanti), la diafasia in rapporto al contesto.
Viene distribuita una seconda copia in aula, questa volta si tratta della elaborazione del prof. Gaetano Berruto sulle “Varietà dell’italiano” dove sono rappresentate attraverso un grafico le dimensioni e la gamma di varietà del repertorio linguistico. Si tratta di collocazioni in asse dove la diastratica corrisponde alle ascisse e la diamesica alle ordinate, tagliate a 45° dalla obliqua diafasica. A sinistra della diamesica c’è il parlato-parlato, a destra lo scritto-scritto, sotto la diastratica il popolare basso sopra il colto ricercato , il punto inferiore della diafasica corrisponde l’informale trascurato il punto superiore al formale aulico. E’ infatti riportata in questo schema la gamma di varietà dell’italiano che Berruto identifica in nove: 1. Standard letterario, 2. Neo-Standard, 3. Colloquiale, 4. Regionale, popolare, 5. Informale, trascurato, 6. Gergale, 7. Formale, aulico, 8. Tecnico-scientifico, 9. Burocratico. un esempio citazione di Berruto applicata allo schema è “dire a qualcuno che non si può andare da lui” e si ottengono nove diverse frasi che vanno dall’alto verso il basso, da “ehi, apri ‘ste ‘recchie. Col cavolo che ci si trasborda” a “Mi pregio di informarla che la nostra venuta non rientra nell’ambito del fattibile”.
Nella diatopia vi è parlato dell’italiano neo-standard (figlio del precedente italiano standard di base fiorentina) alla parlata dialettale locale.
Nel 1300, dal punto di vista sociolinguistico il fattore più rilevante è che la lingua italiana parlata sul territorio dentro i confini della penisola non esiste. Si scende poi mano a mano nel 1400-1500-1600-1870 (Unità d’Italia) e trentennio successivo. Il parlato di Pippo Baudo è quello dei nostri tempi, quello Mike Bongiorno si basava sul modello della lingua fiorentina.
Per quanto riguarda la diastratia si possono avere strati sociali in cui il livello economico è alto e il livello culturale è basso. E’ un concetto difficile da comprendere, ma esiste un altro luogo di differenziazione linguistica. A proposito degli aspetti legati alla fonesi, per esempio, quando sentiamo delle persone che parlano in un’altra stanza, facciamo caso ad elementi di tipo fonetico indipendentemente dal contenuto del discorso. Il neorealismo linguistico modifica il linguaggio cinematografico dopo la 2^ guerra mondiale. Negli studi professionali romani si parla il dialetto ed a tal proposito va fatto un inciso storico: nel 1527 i Lanzichenecchi trucidarono i romani svuotando la città di Roma che nel giro di poche decine di anni si riprese demograficamente con la venuta di persone di diverse origini che la ripopolarono. Da questo si è creato un dialetto orribile e da questo si distacca la fascia alta di persone colte, che rappresentano le numerose corti presenti a Roma messe su dai vari cardinali. Da qui nasce il disagio per il dialetto. Occorre poter governare la varietà linguistica e l’immagine del camaleonte utilizza in senso positivo quel che sopravvive di una lingua.
La sinonimia è quel fenomeno linguistico dei casi di distanza semantica tra termini, espressioni e locuzioni. Ci può essere sinonimia tra due frasi e addirittura tra due testi. Il fenomeno sinonimico è un processo fondante del nostro procedere linguistico.
Lo studioso italiano Francesco Sabatini si è occupato molto del problema della varietà occupandosi di un tema specifico, la tipologia testuale, ovvero dei testi. Viene distribuita in aula la terza copia, questa volta tratta da ‘Linguistica Testuale e comparativa’ di Etudes Romanes, 42, in cui Francesco Sabatini riporta la suddivisione dei testi in tre classi: molto vincolanti (scientifici, normativi, tecnico-operativi), mediamente vincolanti (espositivi e informativi) e poco vincolanti (testi d’arte, ovvero “letterari”). Un termine nel diritto è tecnico quando, pur avendo dei sinonimi, può essere sostituito solo da regole esplicitate, come ad esempio nel caso di ‘copia conforme’, termine notarile tecnico che definisce l’atto scritto formale che va fatto in un certo modo e non in un altro. Tra i testi informativi vi sono, invero, i testi di buona divulgazione scientifica, mentre nei testi poco vincolanti vi sono quelli a dominante funzione poetica. La funzione poetica è una delle sei funzioni del linguaggio individuate da Roman Jacobson, è incentrata sul messaggio e valorizza la forma (significante) che rinvia a un contenuto (significato), per cui metafore sul piano del contenuto e, sul piano del significante, lavora sulla forma basata sui valori prosomici. I testi poetici sono così, lavorano sull’indeterminatezza semantica, ma sono ostinatamente attenti sul significante, alla forma, sul piano dell’espressione. Occasione di riflessione sulle attuali grandi trasformazioni sociali della comunicazione che agiscono sui nostri processi mentali, sulle nostre sinapsi. L’attualissima comunicazione digitale di Google che ad esempio previene l'attività riflessiva col suggeritore automatico che si inserisce prima ancora di aver formulato la richiesta, il sistema pensa per noi prima ancora che noi iniziamo a riflettere. Se già negli anni ’70 R.C. Berwick aveva iniziato a studiare la tipologia testuale in campo linguistico, quella di Sabatini è molto pratica e fruibile, è una classificazione 'maneggevole', che, a differenza di altre, ha anche una giustificazione teorica, rigidità–esplicitezza versus elasticità-implicitezza.
I lavori del seminario si sono chiusi con grande soddisfazione degli organizzatori e del relatore per l’attenzione dimostrata nel corso della relazione dai partecipanti, che dà merito all’intensa e viva giornata di studi, stimolo di spirito critico, così necessario oggi nell’attuale panorama sociale ed economico che ci pone dinanzi a nuovi scenari globali ed a grandi incognite.