Sabato, 23 Novembre 2024

Arte e verità: da Adorno e Heidegger agli sviluppi dell’ermeneutica e delle avanguardie


Le principali tappe del percorso che il Novecento, ha attraversato nella discussione sulla filosofia dell’arte, con un riesame dei valori che le diverse correnti di pensiero hanno attribuito ai concetti di arte e verità, partendo dall’enigma, quale connotazione peculiare sempre presente in ogni opera d’arte

Arte e verità: da Adorno e Heidegger agli sviluppi dell’ermeneutica e delle avanguardie

Francesca Maggiulli - Questo studio cercherà di indicare le principali tappe del percorso che il secolo alle nostre spalle, il Novecento, ha attraversato nella discussione sulla filosofia dell’arte, con un riesame dei valori che le diverse correnti di pensiero hanno attribuito ai concetti di arte e verità, partendo dall’enigma, quale connotazione peculiare sempre presente in ogni opera d’arte. Al di fuori del campo dell’arte esistono vari tipi di segreti, dal segreto professionale al segreto sacramentale, dal segreto bancario al segreto di Stato, ma nell’arte il segreto è insito nella sua essenza, e possiamo venirne a conoscenza solo con la decodificazione del messaggio dei simboli e delle metafore in essa presenti, attraverso quanto ci è spiegato dai critici esperti di settore. In altre parole, il tema del segreto, che da sempre accompagna l’arte, ricorda che in ogni opera vi è un enigma da svelare, legato all’interpretazione che ne verrà effettuata. Si è per questo parlato di una sorta di aura che ènell’opera d’arte, capace di provocare quella che è stata definita la «sindrome di Stendhal», ovvero uno shock, che provoca una straordinaria sensazione di spaesamento e coinvolgimento fisico allo spettatore di un’opera pittorica. Se il “bello” in arte è stato nelle antichità del classicismo greco identificato come chiave indispensabile perché un’opera potesse definirsi artistica, il Novecento, come un grande incubatore, ha rimesso in discussione tutto, abdicando all’ereditato concetto di bellezza, per sviluppare un nuovo e più appropriato significato di interpretazione dell’arte. L’affascinante viaggio, volto all’autocomprensione dell’arte, è rappresentato dal pensiero di tre grandi figure dell’epoca, Adorno, Heidegger e Benjamin. Si tratta di tre straordinari interpreti della filosofia dell’arte del Novecento che, al di là degli esiti delle rispettive teorie, sono accomunati dall’idea che nell’estetica si trovino le tensioni di un’epoca storica e le ragioni che spingono alla ricerca di un pensiero strutturato che ne individui la giusta collocazione. L’attenzione sulla correlazione arte e verità sottende la constatazione di un effettivo tracollo delle procedure concettuali per definire la verità che, così, non è più compito della filosofia, ma dell’arte, trasmigrando nell’intuizione lirica, il cui campo per eccellenza è la poesia. Adorno e Heidegger, nonostante le forti differenze di pensiero, sono partiti entrambi dalla constatazione di fatto che nell’opera d’arte vi è un enigma da decifrare, il cui compito è affidato all’estetica e più in generale alla filosofia, ma, se per Adorno esso è il messaggio dell’artista, Heidegger, su L’origine dell’opera d’arte`1`,nel 1936 ha sostenuto la tesi che la verità suprema da disvelare è dentro l’opera stessa e si fa evento, come una scossa, stoss («urto»), con la «messa in opera della verità»`2`. L’opera in cui essa si rivela per eccellenza è la poesia, il cui termine stesso ne dimostra il logos privilegiato, la parola deriva dal greco poiesis, che significa “produzione”. Vale la pena a tal proposito inserire un breve inciso, che esprime la valenza del pensiero, ovvero di quando Socrate riferì un fatto ad altri filosofi avallandolo sostenendo che gli era stato riferito dalla sacerdotessa Diotima. Ritornando sullo studio del valore dell’arte, sempre nel 1936, Benjamin`3`, con la pubblicazione del saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, haaffrontato, dall’angolazione dell’analisi degli effetti dell’introduzione delle tecniche di riproducibilità dei nuovi mezzi di comunicazione, il tema della perdita dell’aura nell’opera d’arte, ovvero del valore del concetto di autenticità e di unicità. A tal proposito Adorno ha cercato dal suo di dare un senso alla funzione dell’arte, che proprio con l’hic et nunc conclamato da Benjamin non ne vede svilito il valore dalla banalizzazione della sua mercificazione e dalla sua stessa moltiplicazione resa dalle svariate forme di riproduzione.

Theodor Adorno, filosofo e musicologo tedesco, esponente della Scuola di Francoforte, distintosi per la sua critica radicale alla società e al capitalismo avanzato, nello studio della natura dell’arte espresso nella sua Teoria estetica`4` ha posto rilievo centrale al concetto di forma, inteso come ordine essenziale nell’esperienza estetica che conduce alla produzione dell’opera. E’ così che lo studioso ha evidenziato come l’arte sia la rielaborazione soggettiva degli elementi presenti in natura. L’organizzazione di ogni singolo elemento dell’opera in contrasto con l’empiria, è «come un magnete che ordina gli elementi dell’empiria in una maniera che li estranea al contesto della loro esistenza extraestetica e solo così essi possono diventare padroni dell’essenza extraestetica»`5`. Adorno ha ripreso l’espressione a lui cara di Schopenhauer, come «mondo ancora una volta», nel definire il concetto per cui la forma proviene dalla realtà: essa è rielaborata nella coerenza con cui ogni opera d’arte si presenta, in una una «determinazione oggettiva»`6`, ha funzione di mediazione e realizza l’opera d’arte che è caratterizzata dal carattere di non immediatezza e che contiene in sé l’enigma della verità del significato che il suo autore ha voluto rappresentarvi. Ergo l’arte fa parte del «principio della costruzione», secondo le stesse parole di Adorno, come un prolungamento del dominio soggettivo celato secondo una concezione trascendentale kantiana e trasformato in estetismo. L’arte si mostra come ciò che ha risolto in sé l’enigma dell’esistenza. Adorno riprende il pensiero kantiano secondo cui l’in-sé delle cose è ostruito agli uomini dalle opere d’arte che proseguono l’enigma in quanto si contrappongono all’esistente divenendo esistenti esse stesse. Le opere d’arte condividono con i misteri da svelare il carattere ambivalente di determinatezza e indeterminatezza. E’ da questo che si impone la necessità dell’interpretazione. L’insufficienza costitutiva dell’opera d’arte impedisce l’immediatezza e l’arte e la filosofia si incontrano nel contenuto di verità: «la verità dispiegantesi dell’opera d’arte non è altra verità che quella del concetto filosofico»`7`. D’altro canto, come l’arte in quanto verità necessita della determinazione concettuale, la filosofia per la tutela della propria finalità, che è la verità, deve diventare estetica, riferendosi all’arte per spiegare ciò che è il suo pensiero. E’ negata però l’identità tra le due scienze, di cui è costitutiva la loro natura con l’eterogeneo: «l’arte e la filosofia hanno il loro elemento comune non nella forma o nel metodo configurativo, ma in un comportamento che vieta la pseudomorfosi. Entrambe restano fedeli al loro contenuto passando attraverso la loro antitesi; l’arte, diventando refrattaria ai suoi significati; la filosofia, non fissandosi ad alcun immediato. Il concetto filosofico non rinuncia alla nostalgia che anima l’arte senza concetto e il cui appagamento rifugge dall’immediatezza di essa in quanto un che di apparente»`8`. La filosofia, inoltre, secondo le indicazioni di Adorno, diventa estetica nel disvelare l’enigma dell’arte. E’ poi nell’affermazione della funzione di soggetto interpretante il limite che porta all’intreccio irrisolto nel carattere enigmatico legato al valore interpretativo dell’opera. La determinatezza e l’indeterminatezza dell’opera d’arte sono i riferimenti oltrepassati dalle diverse interpretazioni del contenuto di verità. In altri termini, ogni opera d’arte è la rappresentazione di uno spirito obiettivo la cui evidenza non è immediata e necessita pertanto dell’interpretazione che ne sveli il contenuto di verità. Nel suo contraddistinguersi la filosofia ha il compito di decifrare il segreto dell’arte. Adorno, testimone delle atrocità dei suoi tempi in cui si sono svolti i conflitti bellici mondiali, vede nell’arte quell’anelito di speranza proprio dell’utopia necessaria alla vita, ma troppo spesso manifestamente tradita, così come egli stesso ricorda nel riprendere la celebre frase di Stendhal «L’arte è la promessa della felicità»`9`per proseguirla con la considerazione «una promessa che non viene mantenuta».

In quegli stessi anni Martin Heidegger, l’eminente filosofo tedesco, è vissuto in Germania, a cavallo degli anni del secondo conflitto mondiale: la sua posizione di forte rilievo ha dato occasione a controverse interpretazioni del suo pensiero. Partendo da uno studio ontologico, fenomenologico ed esistenzialista con il suo saggio Essere e tempo`10`, ha successivamente affrontato nella sua seconda fase avviata con la conferenzaLa svolta`11`, la dislocazione di quelle tematiche nella sfera dell’estetica. Il suo pensiero parte dall’idea romantica che Schelling ha dell’arte, ovvero di produzione geniale. In una conferenza, tanto significativa da essere individuata da molti come quella da cui è partita la nuova fase del suo pensiero, Hölderlin e l’essenza della poesia`12`, ha esposto il valore di verità contenuto nell’arte, nella poesia soprattutto, nella esternazione di un intuito, che in un istante colpisce il poeta-vate, stoss (urto). Con la pubblicazione del ’29, Che cos’è la metafisica?`13` ha evidenziato la «questione dell’essere» in rapporto al nulla, condizione a cui la scienza e la logica si sottraggono, la prima perché non ha a che fare se non con ciò che è, la seconda perché nega al non essere qualsiasi concetto. Solo l’estetica, la sfera del puro sentire, ha percezione del nulla e ne è esempio il sentimento di angoscia che pervade gli animi di chi ha sentore del nulla. Dal suo pensiero escatologico, Heidegger è passato all’incontro con la poesia, trasferendo l’ontologia nella filosofia dell’arte che assume carattere anamnestico, ovvero verità che trascende l’esperienza dei sensi. Il nulla è un sentimento puro, con conseguente valore ontologico, oltre che psicologico, quindi non rientrante nella sfera della metafisica, regolata dalla necessità. E’ l’essere che liberamente si manifesta, che è sempre altro da sé, che si fa storia, che si fa evento. Heidegger vede nella filosofia dell’arte, la scienza che a livello ontologico, ascolta le verità dell’essere, senza timore della provenienza dal nulla, divenendo il luogo ideale in cui l’essere trova la sua libertà di assumere forme sempre nuove. Se l’estetica, lo spazio ove è rivendicato il primato del sentire, è superata da una parte dalla teoria del puro sentire (secondo la definizione kantiana del bello come «ciò che piace universalmente senza concetto»`14`, dall’altra lo è dalla filosofia dell’arte (secondo la concezione spiritualistica hegeliana). In merito alla valutazione dell’enigma dell’arte, Heidegger vede nell’essenza dell’arte il disvelamento della verità, ovvero, per dirla nei suoi termini, la verità che si fa evento (alétheia) nell’opera d’arte. In Heidegger si crea, a questo punto, un singolare intreccio tra la concezione kantiana e quella hegeliana. Da Kant riprende la concezione in base a cui, così come vi è l’insieme degli oggetti della natura, che è distinto dall’uomo nella sua libertà d’azione, esiste d’altro lato la facoltà del giudizio, che agisce attraverso i nostri sensi, determinando dei giudizi riflettenti ad opera del nostro intelletto. La scienza, che è muta ed il cui mistero grava sulle spalle dell’umanità, trova sola possibilità nell’arte e nella sfera estetica. Se per Hegel il bello è la «parvenza sensibile dell’idea»`15`, ed «il pensiero e la riflessione hanno sopravanzato la bella arte»`16`, Heidegger concettualizza che la verità è un tutt’uno con la non-verità, in rapporto alle due sfere estetiche, lo spazio ed il tempo attraverso cui si manifesta la storia. Così come Socrate riferiva notizie che non potevano essere messe in dubbio perché apprese dalla «maestra di verità», la sacerdotessa Diotima, Heidegger ha esposto il suo pensiero come sotteso ad altrettanta natura divina perché riferito nella poesia di Hölderlin, presentando le proprie riflessioni come un lungo discorso con colui in cui riconosceva la funzione di poeta-vate. Dalle sue stesse parole apprendiamo che «Il linguaggio è la casa dell’essere»`17`ed è proprio nella poesia, nel cui gioco lieve si manifesta la natura sospesa nel «frammezzo agli dei e agli uomini»`18`, che si manifesta il luogo dell’esserci, ovvero la dimora custodita dai pensatori e dai poeti. L'essere parla all'uomo attraverso il linguaggio o, meglio ancora, attraverso la sua forma più autentica, che è la poesia. Con l’affermazione «I pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora»`19`, ovverosia del linguaggio quale casa dell’essere, Heidegger ha esposto il ruolo del linguaggio nel porsi in opera della verità: si presenta come il modo stesso di aprirsi della verità dell’ente. Il tema della valenza ontologica del linguaggio segue la manifestazione della poesia come evento e diviene così caratterizzante della seconda riflessione heideggeriana.

Dalla capacità di ascolto del linguaggio poetico all’interpretazione dei significati per il disvelamento dell’essere, l’ermeneutica è il percorso filosofico che ha avuto un’evoluzione importante nei primi del Novecento. La storia dell’ermeneutica, nasce in età classica greca come esegesi, ovvero interpretazione critica dei testi e, durante l’età ellenistica, è divenuta disciplina metodica, il cui ruolo è stato quello di indicare, insieme con la filologia, le prime regole di interpretazione testuale. Nel III secolo a.C., nell’età aurea dell’ermeneutica letteraria, sono nati, insieme al lavoro dei filologi della Biblioteca di Alessandria sui testi omerici, i primi studi di ermeneutica del testo sacro.Alla somiglianza delle procedure e dei metodi filologici vi è stato anche un processo fertile e profondo di osmosi, ovvero di fusione tra due culture, tra il lògos greco e la saggezza ebraica, apportando un’opera di forte rinnovamento culturale. Sin dalle origini dell’ermeneutica cristiana è stato fatto ampio ricorso al canone allegorico ed il concetto di rilevazione scritturale è stato fortemente presente, poi, nel contesto storico medievale, periodo in cui la cultura è stato dominio esclusivo dei chierici. Se nell’antichità l’ermeneutica era soprattutto una disciplina metodica orientata esclusivamente alla messa a punto di regole per una corretta interpretazione testuale, in età contemporanea si è iniziato a indagare sui processi soggettivi, cognitivi, psicologici, emotivi, che la comunicazione mette in atto e sono stati esaminati i mezzi che la rendono possibile, in primis il linguaggio verbale. A partire dalla riflessione di Heidegger, l’ermeneutica ha cessato di interrogarsi sulle metodologie interpretative per riflettere sul fenomeno della comprensione come figura della stessa condizione esistenziale.

Un vero e proprio indirizzo di pensiero è poi nato e si è andato affermando nel secondo Novecento con l’opera di Hans Georg Gadamer, guida delle diverse correnti della filosofia contemporanea. Gadamer che, con la pubblicazione del suo studioVerità e metodo, ha sviluppato nel filone ermeneutico quelle che sono le modalità del comprendere, mostrandone il carattere universale. Con l’affermazione conclamata “l’essere che può venire compreso è linguaggio”`20`, il soggetto pensante si impossessa del mondo attraverso i segni linguistici con cui lo interpreta e per cui si manifesta. Gadamer, partendo dalla centralità che Hegel assegna al ruolo della storia nelle vita degli uomini e dai presupposti del linguaggio e della metodologia dialettica dell’intelletto, si stacca dal carattere tendenzialmente universalista di Hegel per condurlo ad una connotazione situazionale, legandolo cioè all’elemento sempre originale tra uomo e mondo. La verità si manifesta nella storia e nell’arte con un elemento di novità che nell’immediato colpisce l’artista e lo spettatore. Cade così il valore del bello della tradizione classica e l’estetica perde di significato che, secondo Gadamer, “deve risolversi nell’ermeneutica”`21`.Il lavoro degli ermeneuti è il disvelamento del mistero, mediante un background dell’opera per cui vediamo esempi di recupero interpretativo del passato, come il colloquio fantastico tra Heidegger eHölderlinfacilmente ci può ricordare. D’altro canto l’ermeneutica subisce una scissione tra gli studi analitici e quelli continentali.

Paul Ricœur è colui che è riuscito a rientrare in entrambi gli orientamenti di studio grazie all’originalità ed alla sottigliezza del suo pensiero. Ricœur, nella sua attività legata agli studi dell’ermeneutica, crea un dialogo costante fra questa, la fenomenologia e le scienze umane e sociali: partendo dai pensieri di K. Jaspers e E. Husserl ha analizzato il senso del linguaggio e l’interpretazione, intesa come interpretazione del mondo, attraverso l’esegesi e la moderna ermeneutica demistificante. Ricœur si è mosso dalla critica di Marx, Nietzsche e Freud, sulla falsità della metodologia scientifica cartesiana, per riconoscere che i motivi sottesi dietro alle grandi certezze sono i valori economico–sociali, la volontà di potenza e l’inconscio. Al centro della riflessione ermeneutica Ricœur focalizza l’attenzione sul simbolo e vede nel sogno, così come evidenziano gli studi freudiani, la “regione del senso duplice”, il luogo soggetto all’interpretazione, poiché in ogni simbolo vi è un significato manifesto ed uno latente. Interpretazione è il passaggio dall’uno all’altro. "Ricœur, dunque, fa una distinzione tra segni e simboli linguistici: i primi hanno funzione solo nel linguaggio comunicativo, mentre i simboli, che permettono di esplorare il senso dell’esperienza umana, hanno un senso figurato verso cui il senso manifesto costituisce comunque una via d’accesso, come accade ad esempio nella metafora. La ricerca di questi sensi va effettuata, ad esempio, nelle opere letterarie, cercando di coglierne il senso profondo e l’intenzionalità da cui sono guidate. In questo Ricœur ravvisa i limiti dello strutturalismo, e di una parte delle neuroscienze moderne. Il compito della filosofia è infatti riaprire il linguaggio alla realtà riscoprendo il ruolo del soggetto (fenomenologia). La premessa dello strutturalismo, in merito alla divisione tra significato e significante, infatti nega qualsiasi possibilità di un'analisi extra-linguistica. Queste sono le premesse filosofiche di un'ermeneutica fenomenologica" (Wikipedia).

Tra i principali esponenti del Novecento, nell’ambito della filosofia analitica, il filosofo americano Nelson Goodman ben rappresenta il filone che sostiene la negazione di una verità assoluta, ma l’accesso al mondo mediante sistemi simbolici con cui rappresentiamo i molteplici aspetti della realtà. Nei linguaggi dell’arte`22` espone una teoria dei simboli con cui affronta le criticità tradizionali dell’arte. In Vedere e costruire il mondo`23` sviluppa il suo approccio funzionalistico ed antiessenzialistico al mondo dell’arte il cui funzionamento esiste nell’espletamento di una funzione simbolica. Le moderne tecniche logico matematiche, l’analisi strutturale del mondo fenomenico in chiave nominalistica, sono alla base della sua concezione. Il mondo, secondo Goodman, è costituito da distinte entità individuali, oggetti, non raggruppati in classi, pertanto frutto della situazione unica che ogni individuo rappresenta. Secondo tale concezione, inoltre, l’interpretazione, non può essere considerata un elemento “costitutivo” dell’opera, perché diviene un altro testo, un’altra opera, che riscrive quella iniziale. La domanda sul valore dell’arte egli l’ha sostituita con quella sulla funzionalità. La prospettiva è legata ad una serie di funzioni variabili, quali ad esempio la datazione della creazione e quella dell’analisi. Il valore dell’arte è la funzione, i sistemi simbolici in essa contenuti, non sono casuali, non rivelano la verità assoluta, ma sono funzionali alle finalità che li hanno assunti. Il campo estetico è la necessità che nega spazio al brutto, e rientra nella sfera del cognitivo: a tal proposito Goodman esclude l’emozionalismo, perché, in contrapposizione a quanto accade nella vita reale nell’arte i sentimenti sono muti. Arte e scienza, operando entrambe con sistemi simbolici, rientrano nella sfera cognitiva dell’individuo e sono così rapportate «con appropriatezza» al concetto di verità.

L’arte come conoscenza dei simboli è anche il pensiero di Ernst Cassirer, il filosofo tedesco ebreo che, rifugiatosi dalla Germania negli Stati Uniti a causa del nazismo, ha ricoperto una cattedra a Yale, influenzando l’antropologia filosofica americana con l’individuazione delle fondamentali strutture conoscitive dell’essere umano. La scienza, la religione, il linguaggio e l’arte sono state da lui esaminate e fatte rientrare nell’analisi che dimostra la funzione che svolgono le categorie ed i simboli. In Sostanza e Funzione`24` Cassirer ha analizzato la struttura logica degli ambiti fondamentali della scienza contemporanea, ponendo l’evidenza sull’oggettività della conoscenza costituita da relazioni funzionali stabilite a priori dall’intelletto secondo il metodo kantiano collegato alla teoria della relatività einsteniana. Cassirer riconosce nelle espressioni autonome dell’attività conoscitiva altrettante forme simboliche. Nell'operaFilosofia delle forme simboliche`25` ha evidenziato le molteplici funzioni del linguaggio che, oltre ad essere un mezzo di comunicazione, media fra l'ambito delle impressioni e quello dell'oggettivazione, grazie alle forme simboliche che consentono una continuità funzionale tra i miti del passato e la ragione dell’età contemporanea. Cassirer, molto vicino all’influsso della fenomenologia hegeliana, ha affermato: «Il simbolo non è il rivestimento meramente accidentale del pensiero, ma il suo organo necessario ed essenziale. Esso non serve soltanto allo scopo di comunicare un contenuto concettuale già bello e pronto ma è lo strumento in virtù del quale questo stesso contenuto si costituisce ed acquista la sua compiuta determinatezza. L'atto della determinazione concettuale di un contenuto procede di pari passo con l'atto del suo fissarsi in qualche simbolo caratteristico»`26`.Cassirer supera il kantismo conservandone il valore trascendentale ed individua le strutture formali delle facoltà intellettuali umane, non la ragione, ma la forma simbolica, come capacità dell’uomo di elaborare il vissuto. Queste costruzioni simboliche insinuano l’ovvia dubbiezza sul valore delle arti, sul significato di mondo vero e sembra così anche relativo il valore ed il significato di verità.

Altro autore che ha influenzato lo scenario del Novecento è Friedrich Nietzsche, che, ne Il crepuscolo degli idoli`27`, ha scritto il celebre capitolo «Come il mondo vero finì per diventare una favola»`28`. Il controverso pensiero di Nietzsche parte dalla contrapposizione tra mondo vero e mondo reale che, con Platone e il cristianesimo, ha condizionato lo sviluppo dell'intera civiltà europea, impedendo la vera vita degli uomini ad esplicarne le potenzialità. Nella civiltà contemporanea prevale dunque la memoria per le verità storiche, a discapito della vita, ma questa può continuare e rinnovarsi soltanto in virtù dell'oblio, perché la memoria toglie ogni stimolo a un atteggiamento critico e attivo e porta gli uomini a vivere in un mondo irreale.La criticaglobale della civiltà europea come decadenza assume in Nietzsche aspetti sempre più radicali nella critica del concetto di verità, intesa come qualcosa di completamente diverso da una conoscenza oggettiva, legata ai bisogni vitali ed a esigenze selettive: la verità è una bugia necessaria, sulla quale non è possibile fondare nessuna conoscenza oggettiva. Nietzsche propone una forma di pensiero radicale, capace di mettere in luce come i cosiddetti valori della società nascondono sempre qualcosa di diverso e di opposto, come il cristianesimo, con la sua totale critica e il ben notorio proclama della "morte di Dio", inteso come la conclusione di una valutazione storico-culturale complessiva dell'intero decorso della civiltà greco-ebraico-cristiana. Per Nietzsche la divulgazione del cristianesimo ha trasformato il mondo "vero" in una favola, dando inconsistenza alla concezione tradizionale della verità. Nietzsche afferma che non esiste una verità assoluta, né tantomeno la storia universale, intesa come concatenazione unitaria e rigorosa di elementi: sostiene, pertanto che solo distruggendo radicalmente la nozione di uomo affermatasi nell'età moderna, come se esistesse una pura soggettività, si riscoprirà il senso della corporeità, ovvero l’insieme di potenzialità ancora inesplorate di un "sé" assai più ricco e complesso dell'"io" della filosofia cartesiana. Nietzsche vede nel concetto di "volontà di potenza" la possibilità d'inventare nuovi valori, dipendenti solo dalla libera iniziativa dell'uomo in quanto l’ordine della realtà è nella misura in cui l’uomo glielo attribuisce. In Così parlo Zarathustra`29` stravolge i canoni logici del pensiero occidentale, negando la concezione escatologica tipica del cristianesimo, la successione temporale irreversibile da passato e futuro secondo i principi della metafisica e dipartendo il tempo in due linee, passato e futuro, destinate ad incontrarsi nell’eternità.

Le avanguardie novecentesche sono il desiderio di cambiamento a tutti i costi, portato avanti da svariati gruppi artistici e filosofici, spesso lontani dalla comprensione del grande pubblico di allora e di oggi, per la voglia di mettere in discussione tutti i canoni della tradizione, dal concetto del bello, alle riprese naturalistiche, e, al fianco delle innovazioni tecnologiche che hanno realizzato diverse e sempre più sofistiche tecniche di riproduzione, si sono proposte tecniche artistiche di decostruzionismo, espressionismo, volte allo studio di un qualcosa che andava a distaccarsi dalle precedenti esperienze. Dando l’addio definitivo agli influssi provenienti dal realismo degli anni ‘40 del XIX secolo, hanno trovato forse riferimento nelle innovative tecniche dell’impressionismo che dalla seconda metà dell’Ottocento sono proseguite fino ai primi anni del Novecento. Ed anche l’Art Noveau di fine Ottocento, i cui esponenti rifiutavano la fedele riproduzione in arte della realtà, rivendicando la superiorità dell’invenzione e la successiva Art Decò che, se da un lato ha proseguito lo studio del rapporto tra l’arte e la produzione industriale in serie, pur con le sospensioni legate alla prima guerra mondiale, dall’altro si è differenziata per le diverse scelte di tinte ed elementi stilizzati e semplificati. I forti sentimenti di libertà ed innovazione della secessione viennese si oppongono al realismo: è il costruttivismo di un’arte che si conclama concreta e oggettiva ad opera diuna serie di artisti guidati da Gustav Klimt.

L’abolizione della figura e il trionfo dell’immagine, caratterizzanti della crisi del realismo, partono dal presupposto che vi è una contrapposizione tra apparenza ed essenza, secondo il pensiero di formazione hegelo-marxiana, cosiddetto «marxismo specificatamente occidentale»di cui fa parte la critica weberiana al capitalismo. La denunciata assenza di valori morali in Al di là del bene e del male`30` oppone al positivismo il relativismo con il trionfo delle interpretazioni, dell’ermeneutica. «Per secoli l’umanità ha saputo produrre solo quadri “rappresentativi”, vale a dire soggettivi e astratti. Solo nel XX secolo venne dipinto in Europa il  primo quadro oggettivo e concreto, vale a dire il primo quadro “non rappresentativo”»`31`. L’affermazione rilasciata dal nipote di Vasilij Kandinsky nel libro dedicato all’opera dello zio colpisce perché così l’arte astratta dell’espressionismo ribalta la situazione accusando il realismo dell’incapacità di rappresentare il reale. Per l’espressionismo «Lo spirito della pittura, infine, ha un rapporto diretto con la costruzione, già avviata, del nuovo regno spirituale. Perciò questo spirito è l’epoca della grande spiritualità»`32`. Kandinsky, con l’Astrattismo, compie «il passo decisivo verso l’emancipazione definitiva nei confronti della realtà», dando ampia predilezione alle forme e ai colori vivaci. Con tale corrente pittorica ogni riproduzione o interpretazione della realtà esterna è illusoria, e quindi astratta, mentre la forma creata dall’artista, di qualsivoglia natura, è la creazione di una nuova, concreta realtà. Paul Klee è l’autore che con le rappresentazioni di scomposizioni e di figure geometriche nelle sue suggestive tele pittoriche ha riportato la sua teoria dell’astrazione, l’esistenza del visibile e dell’invisibile`33`, «L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile», dando un forte spessore di responsabilità sociale al ruolo dell’artista, il cui impegno deve essere volto a comunicare, attraverso le proprie opere, il lato invisibile del reale. Pablo Picasso è l’artista spagnolo che con la sua arte ha guidato e rappresentato la coscienza dell’epoca, comprese le riflessioni sulle conseguenze drammatiche e sui significati per l’umanità della guerra: egli ha vissuto la sua arte come un continuo cambiamento, uno sperimentalismo dei mezzi di comunicazione dati dalle tecniche pittoriche e dagli influssi del colore. Il francese Henri Matisse, che dalle prime influenze impressioniste ha proseguito con lo stile dei fauve, con esperienze di divisionismo, e pur sempre ha mantenuto viva l’attenzione per la scelta dei colori, ha mostrato anch’egli un forte carattere innovativo che ha avuto la capacità di imporsi e di farsi rappresentante dello spirito e dei sentimenti della sua epoca. Il Cubismo dei primi vent’anni del Novecento, conclusosi con l’inizio della prima guerra mondiale, il cui precursore è stato lo sfortunato pittore impressionista Paul Cézanne, ha come autore principale l’artista Georges Braque, che ha rivoluzionato le precedenti tecniche pittoriche con una nuova concezione dello spazio pittorico, secondo regole e principi stabilite a priori, con una rappresentazione soggettiva piuttosto che oggettiva. Ha creato quella che è definita la cosiddetta “quarta dimensione” ed ha vissuto sue evoluzioni sperimentalistiche interne che nel lavoro di scomposizione della forma passano dalla fase “analitica” a quella “sintetica”, al cubismo orfico basato su elementi mistici e misterici.

Un fermento artistico che inneggia il movimento e le tecniche del progresso industriale è il Futurismo italiano, corrente pittorica perlopiù, la cui nascita ufficiale coincide con la pubblicazione della Fondazione e manifesto del Futurismo scritto da Filippo Tommaso Marinetti l’11 febbraio del 1909 e il giorno 20 febbraio 1909 pubblicato sul quotidiano Le Figaro e letto da Marinetti nel teatro Alfieri di Torino. Come il pensiero di Nietzsche, è ferma convinzione del Futurismo che l’insegnamento dei maestri del passato siano un ostacolo per la libera espressività ed il nome del movimento indica la scelta di celebrare il carattere innovativo del momento sociale contraddistinto dalla rappresentazione del movimento, della velocità, dell’energia e della forza. I futuristi hanno dato molta importanza alla cura del rapporto con il pubblico e con il mondo della critica artistica, con eventi e iniziative di vario genere per coinvolgere in modo diretto, forte ed aggressivo per suscitare il pieno coinvolgimento e la piena partecipazione delle persone. Spaziando in tutti i settori della vita per portare un cambiamento in tutti gli stili di vita ed in tutte le abitudini la sua opera di distruzione di tutto ciò che fa parte della tradizione, muove la lotta contro il bello, proseguendo il cammino iniziato nel 1853 da K. Rosenkranz con il suo Estetica del Brutto`34`, contro l’armonia e l’equilibrio delle forme con la nascita del concetto pittorico dell’“antigrazioso” a cui si ispireranno molti esponenti delle avanguardie europee. Altri pensieri artistici innovativi si trovano nelle sperimentazione di Marc Chagall, pittore originario della Bielorussia di origine ebraiche, vissuto quasi sempre all’estero che ha rappresentato personali tecniche di scomposizione delle figure umane e animali in cui ritornano concetti di allegorie, miti, ricordi familiari in scenari e contesti onirici in linea con gli studi che in quegli anni andava svolgendo la psicoanalisi freudiana. Il Surrealismo, quel movimento nato in Francia nel 1924 ad opera di Andrè Breton e di un gruppo di artisti e letterati, svolge un’azione di rinnovo partendo dal corpo, seguendo le ricerche psicoanalitiche di Sigmund Freud che nel 1900 aveva pubblicato L’interpretazione dei sogni`35`. Le rappresentazioni pittoriche irreali del catalano Salvador Dalì e l’artista belga René Magritte riportano quel che Breton sosteneva essere il rifiuto dell’arte surreale per la logica, per la struttura coordinata del discorso per un recupero dell’immagine come creazione pura dello spirito. In Italia prende spazio la pittura metafisica con Giorgio De Chirico le cui suggestioni rappresentano geometrici paesaggi solitari dalle tinte forti e cupe e raffigurazioni umane scomposte e ambigue la cui prima comprensione è resa possibile solo dal suggerimento del titolo.Il Dadaismo, interprete del clima di violenza e morte, si fa portavoce dello spirito distruttivo ed eversivo, sbizzarrendosi ad utilizzare qualsivoglia sperimentazione artistica nell’utilizzo di materiali e tecniche inedite, quali il collage in un gioco, che a differenza di quello dei cubisti, è fine a se stesso. Gli Espressionisti rappresentano, in opposizione all’impressionismo, il carattere di angoscia di quegli anni pervasi da aggressivi spiriti bellici.

Tutte le avanguardie novecentesche, in generale, con i loro diversi sperimentalismi, hanno sollevato il problema di individuare gli elementi caratterizzanti dell’arte e significativo a tal proposito è quanto accaduto a Marcel Duchamp nel 1926 nell’accompagnare una ventina di opere dello scultore Constantin Brâncusi allo scalo del porto di New York quando non convinse i doganieri che fossero opere d’arte, fino ad arrivare alle aule del tribunale: quello che fa la differenza, secondo la teorizzazione di Arthur C. Danto, è l’esistenza di un «mondo dell’arte», che opera la «trasfigurazione del banale» (così com’è il titolo dell’opera The Transfiguration of the Commonplace del 1981) nel momento in cui le viene conferito unostatusistituzionale. Per Duchamp l’arte, dunque, è il modo con cui l’artista vede le cose che già ci sono, è nel significato trasmesso e consegnato: il filosofo ne ha trovato conferma dalle sue conclusioni tratte a seguito della riflessione sulla fedele riproduzione delle scatolette di sapone Brillo Box, che è opera d’arte a differenza delle originali per il valore semantico che le è stato assegnato dall’autore.

E’ tutto questo il fermento che stravolge i cardini del valore dell’arte e del concetto di verità in esso racchiuso che resta scolpito dall’analisi del saggio di Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica`36` con il tema della perdita dell’aura, con lo svilimento dell’hic et nunc,con l’avvento dei nuovi sistemi di riproduzione dell’arte, dalla fotografia al cinema. Volto al superamento del valore dell’autenticità dell’unico, è un controverso monito, meglio espresso dal pensiero di Adorno che ha enfatizzato l’attenzione sempre maggiore al ruolo e alla funzione che l’arte deve svolgere.

Con questa elencazione, giunta fino alle avanguardie artistiche del Novecento, si conclude lo studio condotto con l’intento di tracciare un’adeguata cornice filosofica dei significati di arte e verità e dell’effettivo valore, carico di intramontabile fascino, dell’enigma nell’opera d’arte. 
 

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`18`Cfr.M.Heidegger,Hölderlin und das Wesen der Dichtung, 1937, Hölderlin e l’essenza della poesia, cit., p. 54.

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