Il trattamento fiscale di favore che si applica ai prestiti concessi al personale dipendente, direttamente o tramite istituti convenzionati, non viene meno se il datore di lavoro contribuisce in misura percentuale ad abbattere il tasso di interesse relativo al finanziamento stipulato dal dipendente, purchè l’importo accreditato dal datore di lavoro non entri, di fatto, nella disponibilità del dipendente. Condizione che si verifica se vi è un collegamento immediato tra le somme erogate dall’azienda e il pagamento degli interessi.
E’, in sintesi, il chiarimento fornito dall’Agenzia, con la risoluzione n. 46/E diffusa oggi, a una fondazione che chiede delucidazioni sull’applicabilità del “criterio di valorizzazione” (art. 51, comma 4, lettera b) del Tuir) al contributo erogato direttamente sul conto corrente del dipendente dal quale la banca preleva le rate del mutuo.
In particolare, la fondazione fa presente che le aziende che vogliono concedere prestiti agevolati ai propri dipendenti spesso non sono in grado di offrire le condizioni più vantaggiose. Di conseguenza, opterebbero per lasciare al personale la scelta della banca di fiducia e contribuirebbero in misura percentuale ad abbattere il tasso di interesse.
Anche in questo caso, spiega l’Agenzia delle Entrate, il vantaggio economico concesso al lavoratore - in termini di minore importo della rata da corrispondere alla banca - può concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente secondo il criterio agevolato. Le modalità di accredito del contributo, infatti, realizzano un collegamento univoco tra quest’ultimo e gli interessi pagati. Inoltre, l’informativa relativa all’erogazione delle somme in conto interessi, inviata dall’azienda all’istituto di credito, può “fare le veci” della convenzione con la banca.
Il testo della risoluzione è disponibile sul sito Internet dell’Agenzia, www.agenziaentrate.gov.it.