Domenica, 24 Novembre 2024

Impresa e Giovani Imprenditori, gli atti del seminario di Confindustria Lecce



Impresa e Giovani Imprenditori, gli atti del seminario di Confindustria Lecce

All’alba del 2010, ci siamo svegliati in un mondo completamente cambiato. Una nuova cultura del consumo, una diversa consapevolezza delle persone, un grande mutamento nei valori di riferimento hanno reso evidente quello che già si respirava nell’aria da diversi anni: il modello industriale ed imprenditoriale sul quale è stata costruita l’economia del nostro mezzogiorno uscito dalla povertà del dopoguerra, ci sembra ormai obsoleto, superato dai tempi e, soprattutto, dal mercato.

In questo contesto, il Gruppo Giovani di Confindustria Lecce ha avviato una riflessione su una propria visione del futuro e soprattutto del fare impresa nel futuro, su un modello industriale basato su valori moderni e orientati al mercato.

Senza alcuna pretesa di essere completi ed esaustivi e consapevoli di non poterci sostituire ad economisti, studiosi e tecnici della materia, siamo partiti dall’osservazione del mondo che ci circonda, dai nostri contatti con realtà nazionali ed internazionali, dall’esperienza maturata sul lavoro ed a contatto con il Mercato, quello vero, fatto di persone che consumano prodotti ed usufruiscono di servizi per disegnare la nostra personale visione di quella che dovrebbe essere l’evoluzione del nostro sistema economico.

L’impresa che vogliamo, e che quotidianamente ci impegniamo a realizzare, è un’entità nuova, diversa, innovatrice e creativa.

E’ un’impresa che pone al centro del suo agire l’attenzione nei confronti dei suoi clienti, che vive e respira in un mercato internazionale e creativo, che si preoccupa dell’ambiente, in senso letterale ma anche figurativo, che ci circonda.

E’ fatta di persone che nell’impresa e attraverso l’impresa crescono, migliorano e realizzano le loro aspettative, che hanno voglia di imparare, conoscere il mondo ed accrescere le loro competenze professionali.

E’ un’impresa che per vivere e prosperare ha bisogno di condizioni ambientali favorevoli, dinamiche, moderne e vivaci che, oggi, per una seria di fattori, non esistono o fanno fatica  a svilupparsi.

In questo documento abbiamo provato ad evidenziare alcuni di quei fattori  che in qualche modo sono di impedimento alla realizzazione di un sistema sociale favorevole alle imprese del futuro ed allo sviluppo della loro capacità di generare ricchezza e benessere diffuso.

 

 

1)      Il quadro generale

Sembra essere ritornato d’attualità parlare di Mezzogiorno. I rigurgiti meridionalisti riemersi in occasione delle ultime consultazioni elettorali hanno avuto certamente, tra le conseguenze, la riproposizione dell’eterno e altalenante “conflitto” Nord – Sud del Paese.

A ben vedere, tralasciando le derive estremistiche e semplicistiche, si tratta, comunque, di un’ulteriore occasione per soffermarci con occhio più critico ed attento sulla situazione economica, politica e sociale della  nostra regione, del nostro  territorio anche in un ottica di raffronto con quella delle regioni del Nord e del Centro Nord.

Il quadro che si delinea è quello di un paese a due velocità in cui il divario Nord – Sud sembra aggravarsi sempre di più.

Le regioni settentrionali, forti della loro abitudine a muoversi come un vero e proprio sistema, nelle sue articolazioni politiche, istituzionali, economiche e sociali, riescono ad agire con incisività e determinazione per contenere e superare le difficoltà e gli esiti negativi  dell’attuale situazione. Le loro Istituzioni e le loro Amministrazioni sembrano saper rispondere alle attese ed ai problemi del territorio. La loro classe imprenditoriale, nel suo insieme, ha ormai metabolizzato un approccio moderno e competitivo che la pone in condizione di rispondere  alle sfide attuali con efficacia e lungimiranza e che la mette in condizione di generare “una ricchezza alla portata di tutti”.

Le regioni meridionali, invece, si ritrovano ad affrontare gli effetti di una crisi senza pari in una situazione desolante, salvo rare eccezioni, fatta  di carenza o insufficienza di infrastrutture, di inefficienza e malfunzionamento degli uffici pubblici e degli enti locali, di vecchie mentalità e orientamenti, reticenti al cambiamento e preoccupate di preservare e mantenere posizioni di privilegio, di un contesto rappresentativo e istituzionale frazionato, conflittuale ed autoreferenziale ed, infine, di una classe imprenditoriale, pur vivace e dinamica, ma, troppo spesso ripiegata su se stessa,  chiusa nel proprio individualismo e poco incline a lasciarsi contaminare dal nuovo che “viene dal resto del mondo”.

L’interazione di questi fattori negativi  è in grado di innescare una spirale perversa che rischia di causare una inevitabile marginalizzazione della nostra economia rispetto a quelle più dinamiche e in ripresa.

Occorre, allora, ripensare a quelle  aree di criticità con rinnovata  attenzione, progettare rimedi, rimuovere i problemi storici  ed operare in modo da  innescare un nuovo processo virtuoso che rimetta in circolo le enormi risorse presenti sul territorio.

Occorre avere l’ambizione di voler ridisegnare il futuro del nostro territorio, individuare degli obiettivi, tracciare dei percorsi ed assumerci  la nostra parte di responsabilità nel percorrerli fino in fondo.

 

2)      Il nostro territorio

La realtà del nostro territorio, sia pur in una situazione meno drammatica rispetto ad altre regioni del Sud Italia, non rappresenta certo un’eccezione rispetto al contesto meridionale. Possiamo individuare almeno cinque aree di particolare criticità che ne rallentano   la crescita e che ci condannano ad una situazione di arretratezza in rapporto ad altre realtà del  quadro nazionale.

2.1)  Il primo punto critico è rappresentato da una permanente ed  evidente inadeguatezza  infrastrutturale con  conseguenti rallentamenti e disagi per l’economia del territorio. 

Le  difficoltà nei collegamenti che nascono da deficit infrastrutturali interni alla nostra  Regione sono ormai noti e discussi: il nodo ferroviario di Bari, l’anacronistico collegamento ferroviario tra Bari e Lecce, il mancato completamento della Bari - Taranto, la mancanza di un raccordo ferroviario tra il porto di Taranto e la rete nazionale, l’intermodalità nell’area portuale di Brindisi, la messa in sicurezza delle ferrovie del Sud Est, i  numerosi ed attesi interventi sulla viabilità come la Maglie – Leuca e la camionabile di Bari solo per citare gli esempi più conosciuti.

A questo si aggiungono le difficoltà e le strozzature dovute agli insufficienti o inesistenti collegamenti con le altre Regioni meridionali necessari per raggiungere aree di interesse vitale per la movimentazione di persone e merci: assenza di collegamenti funzionali ed efficaci sia ferroviari che stradali con la Basilicata, la Calabria e la Campania. Si pensi alla pressante necessità di un potenziamento dell’asse ferroviario Bari – Napoli o della statale ionica 106 che lega la Puglia alla Basilicata ed alla Calabria o della Bradanico  salentina che lega la Puglia meridionale sempre alla Calabria ed alla Basilicata o, infine, della tratta ferroviaria Lesina – Termoli sulla linea Bari – Pescara per superare l’anacronistica strozzatura che penalizza tutta la Regione e la dorsale appeninica.

 

Sarebbe opportuno, allora,  immaginare un processo di sviluppo che completi la rete dei porti, degli aeroporti, degli interporti, delle strade e delle ferrovie  in un unicum strutturale e infrastrutturale in grado di garantire la sicurezza e lo spostamento delle persone e delle merci in tempi ragionevoli. Impresa titanica se pensiamo che secondo il rapporto 2008 del Dipartimento per lo Sviluppo e la coesione economica del Ministero dello Sviluppo Economico, occorrono circa tre anni per realizzare un piccolo intervento sotto i centomila euro e tredici anni per interventi di importo superiore a cento milioni di euro.

Eppure pensiamo alle ricadute positive sul territorio di un collegamento tra la Calabria, la Basilicata, la Puglia e la Campania. Un collegamento tra Taranto e Gioia Tauro verso sud ed entrambi con Brindisi e Bari verso nord est, Salerno e Napoli verso nord ovest.

Pensiamoli anche in funzione dell’importanza che i porti di Taranto, di Brindisi e di Bari possono assumere come attracco a disposizione di navi che transiteranno attraverso Suez a condizione che si realizzi un sistema integrato tra vettori, porti, aeroporti, ferrovie, strade ed interporti tutti protesi verso il centro ed il nord Europa, ma anche verso l’est e l’ovest.

Pensiamoli, infine, anche in funzione dell’importanza che gli aeroporti di Brindisi, di Bari e di Grottaglie possono avere per la movimentazione rapida delle merci fresche e deperibili.

Occorre, in definitiva,  attrezzare il territorio con un sistema di collegamenti e comunicazioni efficienti, in grado di garantire i traffici e l’intermodalità, in una prospettiva di efficace inserimento nel contesto nazionale ed internazionale,utilizzando, allo scopo, in modo corretto,  i fondi pubblici sottraendoli alla vecchia logica della distribuzione a pioggia e destinandoli a grandi  intervenenti  sia sul piano della infrastrutturazione materiale che su quello della infrastrutturazione immateriale.

2.2) Il secondo punto critico è rappresentato dalla inefficienza e dal malfunzionamento della Pubblica Amministrazione. E’ opinione comune,infatti,  oltre che esperienza diffusa essendo tutti cittadini utenti di pubblici servizi, che nella Pubblica amministrazione italiana vi siano diffusi problemi di inefficienza. Questa sensazione condivisa si rafforza ancora di più quando ci si trova a confrontare la nostra situazione con esempi di paesi europei quali la Francia, la Germania ed i paesi del nord Europa.

Questa inefficienza e, più in generale, il  malfunzionamento, pur con rare ed encomiabili  eccezioni dovute al buon cuore di pochi volenterosi, della Pubblica Amministrazione diventano una vera e propria palla al piede dell’imprenditore e del cittadino  nelle regioni meridionali.

Risultano far parte della quotidianità disfunzioni come i tempi di attesa eccessivamente lunghi, l’inadeguatezza degli orari di apertura degli uffici della p.a., la scarsa organizzazione e lo scarso coordinamento tra i diversi uffici preposti alle varie pratiche, l’incompetenza del personale preposto, la diffusione di logiche clientelari nella gestione di procedure e pratiche, l’impossibilità di esprimere reclami e chiedere chiarimenti, la scarsa accessibilità delle informazioni e l’eccessiva complessità degli iter previsti da leggi e regolamenti.

Sembra, quasi, che, nella gestione della cosa pubblica, l’interesse veramente prioritario non sia, quasi mai, quello generale e comune al “buon andamento” dell’amministrazione, ma quello particolare e personalistico dell’impiegato o dirigente del caso.

Vige quel sistema, definito da Piero Ichino, di “irresponsabilità circolare” in cui la mancanza di responsabilità dirigenziale dei dirigenti giustifica la mancanza di diligenza e di produttività dei singoli impiegati e né è, a sua volta, giustificata.

E’ assolutamente assente o ignorata la regola di un controllo puntuale dei costi e della congruità tra risorse impiegate e funzioni svolte.

Il cittadino – utente non ha alcuna possibilità di intervenire,oggi,  su questo sistema che impedisce di ottenere qualunque tipo di bene e servizio  pubblico ad un accettabile livello di qualità e ad un costo ragionevole. 

L’assenza, infatti, della cultura della trasparenza ed il rifiuto, da parte della pubblica amministrazione, di un qualunque criterio di valutazione del suo operato, impedisce di fatto alla cittadinanza di esercitare un qualunque tipo di controllo.

Riuscire a rompere questo sistema di malfunzionamento e di inefficienza significherebbe migliorare il funzionamento della nostra economia e riuscire finalmente a soddisfare i bisogni degli utenti.

La necessità di una Pubblica Amministrazione efficiente ed al servizio del cittadino diventa ogni giorno più impellente.

Occorrerebbe introdurre, nei casi in cui è possibile, veri e propri  criteri di mercato che consentano all’imprenditore ed al cittadino di poter scegliere il fornitore di beni e servizi pubblici che più lo soddisfa, pubblico o privato che sia in modo che l’utente/cliente possa sanzionare l’inefficienza del fornitore rivolgendosi altrove e, in alternativa, dove questo non sia possibile, occorre introdurre la cultura della trasparenza che permetta di valutare la qualità dei beni e servizi pubblici erogati esponendo la Pubblica Amministrazione al controllo diretto da parte della cittadinanza.

In una situazione di crisi economica e di crescita pressocchè inesistente, quale quella in cui viviamo, non è più concepibile una Pubblica Amministrazione che rappresenta un vero e proprio freno per il nostro territorio.

2.3) Il terzo punto critico è rappresentato dalla circostanza che ci troviamo in presenza di una “realtà bloccata” che, accanto ad un mondo che cambia capovolgendo quotidianamente ogni schema ed ogni logica, resta ancorata ai privilegi di “gruppi di potere”. 

Era il 1975 l’anno in cui Norberto Bobbio scriveva: “Da quando Roberto Michels ha enunciato la ‘legge ferrea delle oligarchie’ molta acqua è passata sotto i ponti dello studio delle grandi organizzazioni, in cui convergono sociologi, giuristi, economisti e politologi. Ma il principio della formazione di gruppi di potere ristretti che si rinnovano cooptandosi, della loro vischiosità rispetto al ricambio, della loro tendenza a servirsi della base più che a servirla, è rimasto fermo. Anzi, col passare del tempo, ha avuto sempre nuove conferme. Una società che è di facciata pluralistica rischia continuamente di trasformarsi dietro la facciata in una società policratica, cioè a più centri di potere, di cui ciascuno fa valere le proprie pretese sopra i suoi membri. L’individuo che ha creduto di liberarsi una volta per sempre dallo stato padrone diventa in una società policratica servo di molti padroni”.

Trentacinque anni dopo, poco e nulla si è perso in Italia e nella nostra realtà territoriale di quella “vischiosità”, poco o nulla è cambiato se si guarda da vicino al nostro territorio.

Viviamo in una società rigida e difficile da scalare, restia al cambiamento. Una società in cui la famiglia di origine o il gruppo di appartenenza sono sempre più determinanti nell’accesso alle opportunità e nella probabilità di successo delle nuove generazioni. Una società in cui vengono difese strenuamente le rendite di posizione e cioè quel conseguimento del profitto grazie all’espletamento di attività lavorative in un regime di controllo e di tutela garantito dai forti poteri esercitati dal gruppo o dalla categoria di appartenenza. 

Il merito sta diventando un  mito o forse un falso mito perché nonostante tutti invochiamo il valore della meritocrazia, continuiamo, poi, a comportarci nel modo tipico di una società che il merito lo ignora costantemente.

Prospettive di crescita personale quasi nulle e, quindi nessuno stimolo alle persone ad imparare, produrre, creare ricchezza e, di conseguenza,  far muovere  il territorio e renderlo competitivo.

In questa situazione molti dei giovani più intelligenti e capaci si arrendono e se ne vanno, gli altri che restano devono combattere contro meccanismi arrugginiti in una gara a non farsi male, a garantirsi qualche spazio, a tutelare privilegi ed a difendere rendite più o meno redditizie.

Tutto questo in un quadro di autocompiacimento e di alta considerazione di noi stessi. Sempre più ripiegati sulle nostre ricchezze ed incapaci di accorgerci che quelle ricchezze non sono più sufficienti, oggi, a garantirci la competitività sul mercato globale.

Occorrerebbe, allora, riuscire a scardinare questo sistema, aprirsi al cambiamento, creare le condizioni per valorizzare le eccellenze e non l’appartenenza e permettere, così,  al territorio di beneficiare delle sue risorse migliori per essere all’altezza di misurarsi su uno scenario globale moderno e fortemente competitivo. 

2.4) Il quarto punto critico è un contesto di rappresentanza politica frazionato e conflittuale, poco efficace nell’individuare le reali necessità del territorio e nell’offrire le necessarie risposte

Lo scenario politico del Mezzogiorno degli ultimi tempi è stato caratterizzato dal fiorire di movimenti locali volti a dare maggiore spinta propulsiva alla crescita del territorio, come risposta alle esigenze di una sua migliore vitalità sociale ed economica.

Le istanze dei politici meridionali trovano, oggi più che mai, ragione nel tentativo di riequilibrare l’azione del governo centrale, il cui operato è sotto il vaglio di una sempre più significativa rappresentanza del nord. Dinanzi ad un progressivo impoverimento delle erogazioni finanziarie dello Stato centrale, è ancora più evidente l’irrequietudine degli amministratori locali, costretti a far fronte a bilanci sempre più difficili da quadrare.

La persistenza, inoltre, diffusa anche se, per fortuna, non generalizzata, di condizioni di malgoverno nelle amministrazioni di moltissime delle realtà meridionali, accompagnata, talvolta, da una legalità non ancora sufficientemente radicata nel territorio, rende più difficile la possibilità del tessuto imprenditoriale locale di rispondere con efficacia all’evoluzione dello scenario globale.

La mancanza di una concezione moderna dell’idea di Stato, di una vera e condivisa visione riformatrice, garantisce la persistenza di una politica rivolta alla conservazione degli equilibri in atto ed ostacola la nascita e l’affermazione di una politica riformatrice. Persiste la propensione alla formazione di coalizioni che propagandano riforme, ma che sono, in realtà, votate al moderatismo, alla conservazione del potere, senza, quindi, che vi sia mai una reale spinta innovatrice.

E’ sempre più evidente un vera  e propria divaricazione tra le esigenze dei cittadini e le istanze di grande parte della classe politica. Divaricazione favorita  anche dalla nuova legge elettorale, che ha completamente divelto ogni legame fra gli eletti e gli elettori.

Alle volte, gli amministratori ed i politici sembrano più interessati e coinvolti in un confronto, magari aspro, tra di loro piuttosto che ad un confronto proficuo con i propri elettori e con i cittadini in generale.

A ben guardare, l’approccio verso il ritardo del Mezzogiorno si ripropone, ancora oggi, proseguendo una tendenza ormai storica, più con caratteri di tipo assistenzialistico che supportato da una convincente politica economica riformatrice. Se il Sud è solo area genericamente arretrata, si è ritenuto sufficiente un intervento di tipo quantitativo piuttosto che qualitativo, non guardando agli aspetti socio economici del territorio.

Tale intervento, però, ha avuto il solo risultato di formare un blocco di interessi fra le oligarchie industriali ed una classe politica con pochi scrupoli, di creare un nesso strutturale fra il profitto e la rendita. Il risultato è stato un’industrializzazione improduttiva, e la degenerazione della pubblica amministrazione.

Nello stesso tempo è stata  dispiegata, nel Sud, un’azione di sostegno alle famiglie, fatta di pensioni, sussidi e aiuti vari che ha legato sempre di più gli interessi del singolo cittadino alle necessità della classe al potere. Questo ha determinato, dagli anni cinquanta ad oggi, la distruzione delle potenzialità di sviluppo del Sud ed il radicale dissesto dei valori costitutivi del tessuto civile. Nelle nuove generazioni si assiste allo svuotamento di ogni forma di cultura politica e la rassegnata accettazione di uno stato di sostanziale alienazione.

Spesso, ci troviamo di fronte ad  una classe politica autoreferenziale, che riprende quei temi delle forme della democrazia moderna, dei meccanismi della rappresentanza popolare, ma che nei fatti ha avviato un processo di autoconservazione corrompendo e degradando il costume e la cultura politica.

L’indebolimento di autorevolezza della rappresentanza politica e la sua eccessiva conflittualità rischiano di compromettere anche la rinnovata azione di contrasto dello Stato contro la criminalità organizzata , nonché quel nuovo protagonismo delle forze economiche e sociali che inizia ad aprire spazi importanti all’azione di tutela della legalità.

Per questi motivi si avverte sempre più decisamente la necessità di ristabilire un diretto confronto tra chi rappresenta il territorio e la società civile, di ristabilire un legame basato sull’assunzione di responsabilità reciproche tra elettore ed eletto. E’ necessario avvicinarsi ad un’etica che purtroppo non è propria alla nostra cultura, ma che è necessaria alla nostra evoluzione: “l’etica della responsabilità” e cioè un’etica che tiene conto di quali saranno le conseguenze, gli effetti di ciò che si fa.

 La politica deve essere imputabile, in ogni momento, dei risultati  e dei mezzi che mette in campo, essere pienamente visibile, comprensibile e trasparente ai suoi rappresentati.

 

2.5) Il quinto punto critico è rappresentato dall’eccessivo Individualismo della classe imprenditoriale,  prigioniera di un atteggiamento di vittimismo ed incapace di aggregarsi e di innovarsi

Dopo l’ondata che ha investito le istituzioni ed il mercato finanziario, è arrivato il momento dell’economia “reale”:  la crisi, con le sue devastanti conseguenze, sta mettendo in ginocchio una già fragile economia quale quella meridionale e salentina in particolare. Cronicamente debole, sebbene protagonista di importanti e significative performance negli ultimi anni, il sistema economico si trova, ora, ad un punto di svolta importante. Storicamente basate sulla subfornitura, anche quelle aziende moderne e tecnologicamente avanzate che fortunatamente stanno emergendo e si stanno sviluppando nel territorio, si trovano, ora, a dover fronteggiare una situazione quasi disperata, nella quale i morsi della concorrenza si sommano alla recessione causata dalla crisi. A nulla serve, come ormai si vede fare da più e più parti, limitarsi unicamente a lamentare problematiche di svariata natura, colpevoli di rendere difficile, se non impossibile, la vita delle imprese.

In realtà, esiste un solo modo per uscire da questa apparente situazione di stallo, ed è quello di sviluppare e consolidare una vera e profonda cultura industriale, creativa e globale.

Annebbiata da anni di assistenzialismo, la classe imprenditoriale, oggi, si perde sempre più in attività dedite alla ricerca di finanziamenti, agevolazioni e contributi, piuttosto che all’innovazione e allo sviluppo, e men che mai alla ricerca di nuove opportunità distributive nei mercati internazionali.

Purtroppo, questo tipo di attività non ci darà nessun vantaggio competitivo, nel breve o nel lungo periodo, tale da far ripartire l’economia su più solide e durature fondamenta.

Non è sicuramente attraverso l’intervento statale, teso a ridurre i costi o ad agevolare il reperimento di risorse finanziare, che si può uscire da una situazione di crisi cronica e strutturale: il rischio è insito nell’attività imprenditoriale, e non può essere ridotto per decreto.

Al contrario, oggi più che mai è necessario costruire progetti coerenti, gestiti da manager capaci, che siano in grado di dare continuità e crescita all’azienda.

Bisogna passare, in tempi molto rapidi, dalla cultura padronale, che ha caratterizzato gli stadi pionieristici della nostra economia, ad un approccio moderno e manageriale, fondato su visioni, strategie e progetti.

La costruzione di una strategia, l’individuazione degli obiettivi tattici e strategici, l’aggregazione delle risorse e delle competenze necessarie allo svolgimento delle attività, l’organizzazione del lavoro finalizzata allo sviluppo della strategia devono tornare oggi più che mai al centro dell’attività d’impresa, perché, nei mercati interconnessi e globalizzati che caratterizzano l’economia moderna, le aziende, a tutti i livelli, devono essere in grado di fornire risposte complesse ed articolate, che abbraccino diversi ambiti ed aspetti dell’attività economica.

Il primo passo per la costruzione di un progetto coerente, in grado cioè di fornire risposte adeguate ai bisogni del mercato, implica appunto la conoscenza dello stesso, cosa però molto spesso data per scontata o sottovalutata.

In particolare, manca un aspetto importante per la comprensione dei mercati moderni, che è quello di una visione internazionale e globale d’insieme.

Essere “cittadini del mondo” è oggi un prerequisito fondamentale per una corretta interpretazione delle dinamiche del mercato. L’elaborazione di un progetto imprenditoriale, la risposta al mercato, deve assolutamente passare attraverso un’analisi globale dei mercati internazionali.

Anche qui, non basta un “contributo all’internazionalizzazione”, molto di moda, per far evolvere un’azienda da locale ad internazionale; manca a monte la parte più importante, un progetto internazionale, figlio a sua volta di una cultura internazionale.

Questo è lo scoglio più duro da superare: il nostro territorio è molto chiuso, dal punto di vista culturale, a qualsiasi influenza esterna, soprattutto estera, rendendo così di fatto un’impresa titanica costruire una vera e profonda cultura internazionale all’interno dell’azienda, a tutti i livelli.

Scarsa propensione a viaggiare, profondo e spesso morboso legame con il territorio e con le proprie abitudini, scarsissima propensione a “subire” il fascino della diversità e la paura delle contaminazioni sono potenti inibitori all’influenza di stimoli nuovi ed innovativi, che invece sono quelli che fanno la differenza delle imprese che sanno accoglierli e metabolizzarli  e questo dovrebbe far immaginare quanto ciò sia importante anche per quelle aziende che, per necessità o vocazione, operano su un mercato circoscritto territorialmente, perché comunque beneficerebbero di soluzioni alternative ed innovative a problemi, questi sì, già conosciuti.

Tutto questo porta infine ad un altro aspetto determinante della moderna cultura  industriale, che è quello della creatività.

Infatti, se la concorrenza è globale, e visto l’enorme quantitativo di offerta, è evidente che prezzo e prodotto non fanno più la differenza: per ogni dato livello, ci sarà sempre qualcuno che ha un prodotto migliore/peggiore ad un prezzo migliore/peggiore.

Il mito della qualità assoluta, o del prezzo più conveniente, non esiste più; piuttosto, il fatto di avere un rapporto corretto fra la qualità percepita ed il prezzo richiesto è un prerequisito fondamentale per qualsivoglia progetto che abbia una minima possibilità di successo.

Quindi, al di là di una sana attenzione ai costi di produzione, piuttosto che puntare ad una spasmodica riduzione dei prezzi, con le conseguenze che conosciamo (lavoro nero, evasione fiscale, condizioni di lavoro quantomeno dubbie, produzioni in paesi in cui i diritti umani sono un optional), sarebbe necessaria una forte spinta verso la creatività e l’innovazione, basate, ancora una volta, su una reale conoscenza del mercato e sulla metabolizzazione di vari e svariati stimoli provenienti dalle fonti più disparate.

Parliamo, però, di una creatività che si riferisce alla progettazione, all’approccio ai problemi, ad un atteggiamento culturale dell’impresa, e soprattutto dei suoi managers, alla pianificazione aziendale e strategica.

Bisogna porsi, sempre e costantemente, la domanda cruciale: perché un cliente dovrebbe comprare da me, e non dal mio concorrente? Se la risposta è “perché costo meno”, oppure “perché il mio prodotto è migliore”, o una combinazione delle due, allora il vantaggio competitivo è fragile e non difendibile.

Se invece la risposta è articolata, creativa, inattesa, e anche spesso complessa, allora esiste un vantaggio competitivo solido ed anche difendibile, a patto di saperlo gestire in maniera organizzata ed efficiente.

Queste è la grande sfida che abbiamo di fronte: passare da una cultura padronale, dell’imprenditore/proprietario che tratta l’impresa come una cosa sua, che decide, spesso con dubbia capacità, di ogni aspetto operativo e gestionale dell’impresa, ad una cultura moderna, manageriale, internazionale, creativa  che produca una classe dirigente di manager capaci di stare al mondo, di coglierne gli stimoli e di trasformarli in vantaggi competitivi per le loro aziende. Che siano in grado di elaborare progetti di livello globale e capaci di costruire, intorno ad essi, vere e solide aggregazioni di imprenditori e imprese  che creino un sistema articolato e coeso intorno ad una visione comune, ancora una volta, moderna, internazionale e creativa.

Trasferire tutto questo nel territorio, essere in grado di seminare quei germi che trasformano il modo di vedere e fare le cose, restituire alle imprese il ruolo di spinta e motore dell’innovazione è’, forse, la sfida più grande di tutte.

E’  su questi temi che, oggi, dobbiamo misurarci mettendo insieme tutte le energie e tutte le intelligenze di cui disponiamo ed è su questi temi che possiamo trovare il bandolo di un percorso virtuoso di uscita dalla crisi e di creazione di nuove e solide basi di sviluppo futuro.

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