Domenica, 24 Novembre 2024

Rapporto Pil occupazione e Valore aggiunto: "Gli effetti della crisi sull'economia del Mezzogiorno"


La sfavorevole congiuntura non ha risparmiato il Mezzogiorno. Nonostante ciò esistono ancora delle “isole felici".

Rapporto Pil occupazione e Valore aggiunto: "Gli effetti della crisi sull'economia del Mezzogiorno"

Che la situazione dell’economia italiana, così come quella internazionale non sia rosea è ormai noto. Ma come  stanno andando le economie territoriali e, in particolare quelle delle regioni, delle provincie e dei comuni del Mezzogiorno? A questo può rispondere la ricerca PIL Occupazione/Valore Aggiunto, giunta alla sua ottava edizione curata dall’Osservatorio Regionale Banche – Imprese di Economia e Finanza, con sede a Bari, di concerto con la Fondazione Istituto Guglielmo Tagliacarne di Roma, che pubblica lo studio sui dati relativi alla ricchezza prodotta e all’occupazione impiegata anche per tutti i comuni del Mezzogiorno per l’anno 2009 e in serie storica per le ripartizioni territoriali di ordine superiore (oltre che per i macro comparti di attività economica; agricoltura, industria in senso stretto, costruzioni, servizi). Fra il 2008 e il 2009 come è noto la nostra economia è stata interessata da notevoli difficoltà i cui effetti, pur diffusi su tutto il territorio, hanno tuttavia inciso sui territori in maniera disuguale,  portando ad una penalizzazione delle aree più deboli del Paese (Mezzogiorno in particolare), con conseguente  accentuazione del divario rispetto alle regioni del Centro-Nord.

Dalla ricerca completa, (che debitamente corredata di note metodologiche e illustrative sarà resa disponibile a pagamento attraverso il sito internet dell’Osservatorio: http://www.bancheimprese.it/). emergono alcuni tratti di un certo rilievo. Come già si accennava in precedenza, la crisi generale che ha investito il Paese ha colpito indiscriminatamente tutto il Mezzogiorno in modo più o meno omogeneo senza eccezione alcuna. Analizzando il dato sul Prodotto Interno Lordo, le regioni caratterizzate dalla variazione complessiva più negativa sono l’Abruzzo e la Basilicata (-6,0%) seguite dalla Puglia (-5,9%) e dalla Campania (-5,6%). Nel complesso l’intero Mezzogiorno presenta risultati peggiori rispetto al dato nazionale (-5,5% contro -5,0%).

Entrando nel dettaglio settoriale delle stime non più del prodotto interno lordo ma del valore aggiunto a partire dal quale si ottiene poi il Pil, si evidenzia quasi esclusivamente la presenza di segni meno anche se di intensità molto diversa fra comparti e territori. Per quanto riguarda il settore primario (attività in cui la volatilità delle valutazioni è sempre particolarmente accentuata a causa sia delle oramai modeste cifre assolute del fenomeno, che della estrema aleatorietà dell’andamento delle produzioni, troppo spesso dipendenti da fenomeni di carattere meteorologico). Se da un lato si evidenziano perdite a due cifre in Basilicata e in Molise (-11,4 e -10,6 nell’ordine), dall’altra si osserva il risultato della Calabria (+7,5) che è l’unica situazione in cui si evidenzia un segno positivo. Una crescita che da sola contribuisce a far sì che il risultato del Mezzogiorno non sia troppo distante da quello della media nazionale che registra nello stesso periodo una riduzione del 3,1%.

Molto più omogenei e negativi sono i risultati dell’industria. Ovunque la perdita è nettamente superiore alle due cifre e nel complesso decisamente maggiore a quella nazionale (-16,8% contro - 15,1%). In particolare i risultati peggiori si segnalano in Basilicata, con -18,4%  e Campania (-17,5%). Una riduzione comparativamente più contenuta riguarda ancora la Calabria la cui perdita comunque sfiora il 14 per cento.

Le costruzioni, dal canto loro, chiudono l’anno con una perdita di oltre l’8 per cento (1,4 punti peggio della media nazionale) con un deficit che viene limitato dall’andamento meno negativo (ovviamente rispetto alle performance complessive) dell’Abruzzo che, probabilmente grazie agli interventi post terremoto, perde appena sei decimi di punto rispetto all’anno 2008 contro, ad esempio, un -10,3% fatto segnare dalla Puglia.

Circa i servizi, una riduzione meno accentuata rispetto agli altri comparti (-3,9%) penalizza comunque il confronto con il totale nazionale (-2,7%); tutte le regioni, ad eccezione del Molise (che chiude a -1,8%) fanno infatti peggio del Paese nel suo complesso. Particolarmente deludente sono stati, in particolare, i risultati di Puglia, Sicilia e Campania che perdono tutte almeno il 4 per cento in un anno. 

Tav.1 – Variazioni in termini reali del valore aggiunto ai prezzi base per settori di attività economica e del Prodotto Interno Lordo ai prezzi di mercato fra il 2008 e il 2009

 

 

pil2010.bmp 

 

Fermo restando il quadro descritto del Mezzogiorno, tutt’altro che esaltante da un punto di vista delle performance congiunturali, emergono alcuni spunti interessanti dall’esame di alcuni aspetti strutturali della situazione economica dei singoli territori del Sud. E’ infatti possibile isolare da questa analisi delle situazioni che, se non proprio di eccellenza, possono essere definite comunque come esempi da prendere a riferimento. Per quanto concerne un primo aspetto e limitando l’osservazione ad alcuni dei numerosi dati contenuti nel Rapporto ed all’ultimo anno della serie (il 2009), dai risultati del calcolo emerge che la regione economicamente più sviluppata del Sud (con un valore medio del Prodotto Interno Lordo per abitante pari a 21.003 euro) continua ad essere l’Abruzzo anche se la “marcia di avvicinamento” all’area centrale del Paese quest’anno ha subito, come già abbiamo visto, un deciso rallentamento. Frenata che comunque non ha impedito di mantenere un ampio margine di vantaggio sulla seconda posizione di questa particolare graduatoria, dove non si colloca più la Sardegna come accadeva negli scorsi anni ma il Molise che con 19.636 euro a persona supera (con un margine di 61 euro) la regione isolana.  Nelle posizioni di coda la buona (sempre nel contesto di un anno difficile) tenuta della Calabria ha consentito alla più meridionale delle regioni continentali di recuperare in termini procapite diverse posizioni collocandosi davanti non solo alla Campania (cosa che già avveniva regolarmente da alcuni anni) ma anche (sia pure per un nonnulla) a Puglia e Sicilia. Si tratta comunque di situazioni che anno dopo anno possono mutare a causa del loro addensamento in un “range”di valori piuttosto ristretto. Più in generale si ha a che fare con regioni che, accanto ad alcuni indiscutibili progressi , risentono ancora della presenza di “freni” socio/ambientali massicci non compatibili con le esigenze di sviluppo economico dell’area.

Un secondo interessante aspetto riguarda i comuni, per i quali si ricorda che, come di consueto,  si deve partire da una considerazione: quando si analizzano i dati relativi alle circoscrizioni territoriali di ordine inferiore come i comuni`1` si evidenzia che le aree corrispondenti ai capoluoghi di provincia, nei quali in generale si concentrano le sedi di grandi imprese, le attività amministrative e del terziario in genere, attraggano sul proprio territorio flussi di lavoratori pendolari dai comuni limitrofi. La conseguenza di tali spostamenti è che si accresce la produzione del comune di destinazione a scapito dei comuni di residenza dei pendolari, (che ne ricavano comunque un beneficio rappresentato dai redditi percepiti, un discorso questo che però esula dalle valutazioni sulla ricchezza prodotta di cui stiamo parlando).

 

Nella Tav. 2, i valori medi per abitante del valore aggiunto delle singole regioni vengono suddivisi in due componenti: da una parte i dati dei comuni capoluoghi e, dall’altra, quelli degli altri comuni globalmente considerati.

Come si vede, i valori pro capite riferiti alla popolazione che risiede nei comuni non capoluogo risultano sistematicamente più bassi (e non di poco) di quelli calcolati per i residenti nei capoluoghi. Si passa, infatti, da uno scarto in meno di circa il 25% in Abruzzo a divari dell’ordine del 41-43% in Puglia e Sardegna. Per fare un paragone con il resto del paese si può dire che  i comuni capoluogo di Abruzzo, Molise e Sardegna fanno segnare valori che sono superiori a quelli delle regioni Marche e Umbria quindi molto a ridosso della Toscana e di fatto superiori di una quota compresa fra il 2,4% e il 5,4% rispetto alla media nazionale. I comuni capoluogo di Puglia, Basilicata e in misura minore Calabria, pur collocandosi su livelli inferiori riescono a fare meglio dell’Umbria.

Al di fuori, inoltre, dei comuni capoluogo di provincia vi sono poi alcune altre circoscrizioni, in questo caso anche di piccola dimensione demografica, il cui valore aggiunto per abitante li pone ai primi posti della graduatoria, essenzialmente per due motivi: o perché vi si concentrano attività produttive così importanti da costituire un polo di attrazione per gli abitanti dei comuni contermini, o per la rinomanza acquisita in ragione dell’invidiabile posizione geografica e per ampiezza e qualità dell’offerta turistica. Entrando maggiormente nel dettaglio si può parlare di 106 comuni che presentano quantificazioni di valore aggiunto procapite superiori rispetto alla media nazionale dislocati in ben 29 delle 40 province in cui si suddivide il Mezzogiorno e presenti in tutte le regioni. Tra questi 17 capoluoghi di provincia (il più grande dei quali è da un punto di vista demografico è Bari con i suoi circa 320 mila abitanti) ma anche comuni di piccolissimo taglio, 22 dei quali con meno di 1.000 abitanti di cui 13 con meno di 500 anime registrate nelle rispettive anagrafi. E ancora trenta comuni riescono a fare meglio addirittura della media della Lombardia che è la circoscrizione regionale con il maggior valore aggiunto per residente. Si tratta di comuni distribuiti su 16 province anche in questo caso presenti in tutte le regioni. In particolare: Gli abruzzesi Atessa, Oricola, Ancarano, Colonnella, San Giovanni Teatino, Fara San Martino, Castiletnti, Alanno, Roccaraso e Fontecchio i molisani Pettoranello del Molise, Pozzilli e Campochiaro, i campani Atena Lucana, Flumeri, Pratola Serra e Positano, la pugliese Isole Tremiti, i lucani Melfi e Viggiano i calabresi Mormanno, Mongiana, Figline Vigliaturo e Serra d’Aiello, la siciliana Priolo Gargallo, e i sardi Sarroch, Portoscuso, Ottana, Cagliari (unico comune capoluogo di provincia) ed Elmas.

 

Tav.2 – Valori medi per abitante del valore aggiunto delle regioni per l’anno 2009 (euro)

 

REGIONI

MEDIA REGIONALE

DI CUI

COMUNI CAPOLUOGO

ALTRI COMUNI

Abruzzo

18.690

23.253

17.339

Molise

17.457

23.611

15.642

Campania

14.427

20.715

12.616

Puglia

14.794

22.527

12.755

Basilicata

16.515

22.751

14.769

Calabria

14.768

20.978

13.007

Sicilia

14.546

19.476

12.227

Sardegna

17.203

23.930

14.152

Mezzogiorno

15.161

21.210

13.134

Italia

22.722

n.d.

n.d

 

Una visione infine sul livello intermedio territoriale fra regioni e comuni ovvero le province. A differenza dei dati comunali, che si riferiscono soltanto al 2009, quelli su scala provinciale si estendono (come d’altronde quelli regionali) a tutti gli anni del periodo 2001-2009. Interessanti appaiono per un verso la graduatoria del Prodotto Interno Lordo pro capite realizzato da ciascuna delle 40 province nell’anno 2009 e per l’altro gli avanzamenti e le retrocessioni che i valori anzidetti hanno registrato, in termini di posti di graduatoria, rispetto al 2001 (con riferimento alle sole province del Mezzogiorno). In essa figurano due serie di dati: da una parte, la graduatoria del Prodotto Interno Lordo pro capite realizzato da ciascuna delle 40 province nell’anno 2009; dall’altra, gli avanzamenti o le retrocessioni che i valori anzidetti hanno registrato, in termini di posti in graduatoria, rispetto al 2001.

Da un primo esame dei valori assoluti riportati nella tavola anzidetta si ha una conferma di quanto già osservato con riferimento ai dati della Tav. 2. E’significativo infatti rilevare che, nella graduatoria delle 40 province ordinate secondo il livello del Prodotto Interno Lordo pro capite, sei delle otto in cui si trovano i capoluoghi regionali compaiono nelle prime 20 posizioni. Più precisamente contrassegnandole con il posto occupato in graduatoria, esse comprendono: Cagliari (2°), L’Aquila (3°), Campobasso (7°), Potenza (12°), Palermo (17°) e Bari (20°).. Sorprende, d’altra parte, rilevare che il primo e l’ultimo posto siano occupati da due province sarde, ambedue di nuova istituzione (Olbia-Tempio e Carbonia-Iglesias); così come degno di nota è il discorso che nell’arco degli otto anni considerati la graduatoria abbia subito modifiche superiori o uguale a 10 posti, e ciò sia in senso positivo (come mostrano gli avanzamenti di Oristano, e Medio Campidano) che negativo (come mostrano le retrocessioni di Napoli, Trapani e Carbonia-Iglesias.

 

Tav.3 Graduatoria del Prodotto Interno Lordo pro capite delle province nell’anno 2009 e variazioni di posto registrate rispetto al 2001

 

 

 

 

 pil2010province.bmp

 

 

 

 

Analisi completa e ulteriori approfondimenti sono disponibili sul sito http://www.bancheimprese.it/

 



 

`1` E’forse il caso di rilevare che il passaggio dal concetto di valore aggiunto a quello del Prodotto Interno Lordo comporta il calcolo di molte imposte – quasi sempre soggette a traslazione – delle quali sarebbe quasi impossibile ottenere la corrispondente distribuzione a livello comunale. E’questo il motivo per cui i risultati economici dei comuni vengono espressi soltanto in termini di valore aggiunto.

 

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